Le buone ragioni per abbracciare gli alberi
Milioni di anni fa siamo scesi dagli alberi, per poi passare gran parte del nostro tempo a tagliarli o bruciarli. Da diecimila anni abbiamo anche imparato a piantarli e coltivarli, ma lo abbiamo fatto in misura molto minore. E adesso che avremmo bisogno di loro per mantenere gli equilibri ecologici, ci accorgiamo che sono pochi e mal curati.
Il rapporto tra gli organismi più evoluti del regno animale e quelli del regno vegetale non è stato equo, perché noi (che ci siamo nominati sapiens o addirittura sapiens sapiens) abbiamo tagliato almeno la metà delle foreste del pianeta, trascurato giardini e arboreti nonostante i loro alberi abbiano reso fertile il suolo e respirabile l’aria, mitigato gli eccessi del clima, fornito legna, frutti, ombra, bellezza per mille usi indispensabili e piacevoli. Diceva bene Plinio il Vecchio: “Sono il dono più grande fatto all’uomo”.
Ci sono molte buone ragioni per abbracciare gli alberi. Alcuni credono che, attraverso questo gesto, alberi e uomini entrino in comunicazione: si può dubitarne purché non si dimentichi che il senso del sacro è nato proprio al cospetto degli alberi, osservando la loro capacità di andare oltre i limiti angusti della primitiva percezione: le radici in fondo alla terra e le chiome che si perdono nel cielo, la vita che rinasce ogni primavera dopo che è sembrata morire in autunno.
Filosofi e poeti hanno testimoniato della possibilità e dell’utilità di un contatto intimo con il mondo vegetale e le scienze moderne forniscono approfondite informazioni sui rapporti chimici, fisici e biologici che si creano tra l’albero e l’uomo; non importa quanto, dell’uno ma anche dell’altro, si possa accertare l’intelligenza. Motivi per abbracciare gli alberi si trovano a sufficienza in molti campi, oltre che in quelli dello spirito: per esempio nell’economia e nella cultura o quando è in gioco la salvaguardia di equilibri ecologici planetari.
Abbracciare, però, serve a poco se siamo particolarmente attenti solo alle motivazioni che riguardano i nostri interessi. Dopo un innegabile piacere fisico e psicologico (provare per credere: corpo e mente sembrano dilatarsi), potremmo ritrovarci solo sporchi di resina, licheni, muschi, frammenti di corteccia e spoglie di insetti. Si può, invece, andare oltre l’abbraccio e manifestare in modo più profondo e concreto le ragioni della riconoscenza, dell’alleanza e della protezione. Per esempio difendendo gli alberi da inutili tagli e incendi, piantandoli in boschi ben gestiti, in giardini curati o lungo le strade, creando frutteti generosi di biodiversità, coltivandoli premurosamente, mantenendo il posto che si sono conquistati nell’immaginario e nelle arti.
Ci sono molte buone ragioni per abbracciare, difendere e coltivare gli alberi. Per trovarle e sostenerle non bisogna affidarsi solo all’arboricoltura, all’ecologia e alla selvicoltura, ma a tutti i campi del sapere che insieme testimoniano di un rapporto antico e profondo. La mitologia e la poesia, la narrativa e la filosofia, la storia e la geografia, la pittura e la musica offrono moltissime occasioni che si uniscono a quelle delle scienze arboree. (…)
Nelle strategie internazionali è a loro demandato un ruolo decisivo per il contenimento dell’effetto serra, per la lotta alla fame e alla desertificazione. Piantarli e difenderli non è, quindi, affare soltanto degli arboricoltori, ma di chiunque abbia a cuore il futuro del pianeta. Vanno messe in campo non solo le risorse della scienza e della tecnica, ma anche quelle della creatività. Serve un patto tra uomini e alberi. Patto tra uguali, dopo gli evidenti limiti che, nei disastri del pianeta e degli esseri che lo abitano, ha mostrato la visione antropocentrica dello sviluppo, dimentica dei comuni interessi delle altre forme di vita, animali e vegetali, nostre imprescindibili alleate.
Si prenda atto, come ha scritto Primo Levi, che “gli alberi della valle erano come noi, gente anche loro, che non parla, ma sente il caldo e il gelo, gode e soffre, nasce e muore”. Si torni alle ragioni di Dione, cittadino africano dell’Impero romano, che diede senso alla sua vita facendo scrivere sulla sua tomba “In pace vixit annos octoginta et instituit arbores quattuor milia”: visse in pace ottant’anni e piantò quattromila alberi.
Estratto da “Abbracciare gli alberi” di Giuseppe Barbera. Per gentile concessione di © Il Saggiatore 2017