Lavorare in cucina dietro le sbarre
La possibilità di lavorare è una boccata d’ossigeno per i detenuti che contribuisce all’abbassamento del tasso di recidiva. I progetti legati al cibo sono diffusi in molte strutture detentive italiane. Il ristorante “InGalera” del carcere di Bollate e il progetto “Cene Galeotte” della casa di reclusione di Volterra sono tra i più noti esempi dei risultati che si possono ottenere con un percorso professionalizzante in ambito ristorativo. La pasticceria “Giotto” del carcere di Padova è una realtà affermata che dispone di una rete di punti vendita in tutta Italia e di uno shop online dove si possono acquistare panettoni, colombe, torroni.
Il progetto “LiberaMensa” del carcere “Lorusso e Cotugno” fu avviato nel 2005 per confezionare pasti per i detenuti, assumendo 22 reclusi e tre cuochi professionisti. Nel tempo si è rivolto anche al mondo esterno con l’apertura del ristorante e sono stati assunti altri lavoratori. Sul sito Freedhome e nello store torinese in via Milano si possono comprare prodotti fatti in carcere dalle tredici cooperative che partecipano al progetto.
In carcere si distingue tra lavoro interno ed esterno. Il lavoro intramurario ha finalità di natura rieducativa (legge 354/75). Viene retribuito con la “mercede”, un contributo non inferiore ai due terzi dei limiti contrattuali da cui viene sottratta una percentuale non superiore ai due quinti per le spese di mantenimento in carcere, processuali e di risarcimento del danno. I detenuti possono chiedere di essere ammessi al lavoro esterno come dipendenti o autonomi. Se sono in affidamento percepiranno lo stipendio direttamente dal datore di lavoro, se in semilibertà e in articolo 21 tramite la direzione penitenziaria.