L’attacco di Israele a Freedom Flottilla: cronaca di sequestri ed omicidi sotto gli occhi della comunità internazionale
Delle molte interviste ai più quotati artisti, scrittori, attivisti, che ho svolto nella mia breve e amatoriale “carriera giornalistica”, la seguente è forse quella che più mi ha entusiasmato, emozionato, rapito, scioccato, ma anche reso terribilmente e lucidamente cosciente. Il fatto che un popolo 50 anni fa abbia subito un genocidio e lo stia replicando parimenti a sua volta verso un altro, più che un paradosso storico ha il sapore di una crudele e spietata ironia della sorte.
Stiamo parlando con Manolo Luppichini video reporter, autore di numerosi reportage e documentari tra cui “Erba proibita”. Collabora con la trasmissione di Rai 3 “Presadiretta”, col quale ha potuto documentare i risultati dell’operazione denominata “Piombo Fuso” che c’è stata nel 2008 a Rafa in Palestina; frequenta Gaza e la Cisgiordania dal 2002, dove ha girato numerosi documentari. Era sulla spedizione denominata “Fredoom Flottilla”, spedizione carica di aiuti umanitari e attivisti di tutto il mondo, che è stata attaccata in acque internazionali dalla marina di Israele, violando così il diritto internazionale. Più che un’intervista, vi proponiamo con poche domande, senza filtri ne tagli, una sorta di film lucido e scioccante vissuto e raccontato su quelle navi da Manolo, persona meravigliosa e fortemente impegnata che ho avuto la fortuna di conoscere. Prima dei fatti sulla nave, è necessaria una breve premessa cronologica degli ultimi fatti accaduti al martoriato popolo palestinese.
La politica colonialista dei cosiddetti “Setment” che sta attuando Israele con i continui e nuovi insediamenti, è condannata ormai da tutta la comunità internazionale, anche dagli stessi americani. Questa politica ovviamente lascia pochi spazi ad un dialogo e un confronto di pace. Basta dare un’occhiata alla Road Map, per rendersi conto che l’intento è di penetrare nella terra palestinese cercando di arrivare il prima possibile al Giordano, fiume che attraversa la Palestina. Immaginate, se questo accadesse, cosa farebbe Israele controllando l’unica fonte d’acqua di quel popolo.
A Gerusalemme è in corso una vera e propria sostituzione di etnie, comprimendo davvero al limite ogni spazio di dialogo. Lo scenario è molto teso soprattutto con il nuovo governo, la situazione è davvero al limite, tuttavia le voci di dissenso anche all’interno del parlamento cominciano a prendere forza, anche perché questa politica costringe i cittadini stessi Isreliani a vivere in una gabbia con l’angoscia degli attentati. Mi sento di dire che allo stato attuale c’è una grave emergenza umanitaria in corso e penso che sia responsabilità delle persone con una sensibilità ed un rispetto per i diritti umani, denunciare questo genocidio.
Io ho la fortuna di fare un lavoro che mi permette di portare alla luce questi avvenimenti ed è ciò che faccio dal 2003. Non è mio compito di certo dare un giudizio politico, ma da quello che sono riuscito a raccogliere viaggiando tra i paesi arabi e le popolazioni limitrofe, mi sono reso conto che le condizioni di vita in quei posti sono terribili, specialmente in Libano dove i palestinesi sono costretti a vivere ammassati in veri lager, con delle leggi assurde, senza poter fare una serie di mestieri vietati, senza potersi iscrivere alle università. È vietato fare entrare in Palestina il materiale da costruzione, quindi cemento, mattoni, tegole. I palestinesi non hanno il permesso di edificare, inoltre non possiedono il titolo ereditario, ciò significa che quando muore un padre, le case vengono confiscate, ma quest’ultima legge è in vigore solo in Libano, nei campi profughi.
Questa introduzione era più che dovuta, ma ora raccontaci Manolo cos’è successo su quelle navi?
“Free casa movement” organizza queste missioni umanitarie dal 2007 che partono generalmente dalla Grecia, di questa ONG fanno parte vari stati: Inghilterra, Irlanda, Stati uniti, noi Italiani, Grecia e nel caso di questa missione, c’era anche un grande supporto Turco. Siamo partiti da Atene, a questo proposito vorrei sottolineare brevemente quanto i greci del sindacato dei lavoratori del porto del Pireo siano riusciti a fornire un grandissimo sforzo di solidarietà e forza lavoro in questa missione, nonostante essi stessi si trovano nella morsa della crisi economica.
Cosa trasportavano queste navi?
Il materiale era stato raccolto e finanziato rispettando una lista di richieste che veniva direttamente da Gaza, quindi tutti quei materiali che l’embargo Israeliano vieta: materiali da costruzione, tegole, cemento, legnami ecc. Su quella nave c’erano 50 case prefabbricate, quasi 200 carrozzine elettriche per invalidi (dato che le bombe hanno fatto strage provocando migliaia di invalidi), c’era materiale didattico dato che a Gaza non possono entrare ne le risme di carta ne la cartucce per stampanti. C’erano desalinizzatori per poter rendere potabile l’acqua, c’erano generatori, macchinari sanitari e medicinale. Tutte quelle cose che fondamentalmente gli Israeliani non fanno entrare.
Da chi era finanziato questo materiale?
Ci sono stati vari donatori come dicevo, attraverso gli stati sopra citati, principalmente questa rete Europea contro l’assedio di Gaza è in contatto con tutte le associazioni all’estero che si sono occupate della campagna di “FOUND RACING” per acquistare tutto questo materiale. Siamo partiti in 2 navi con circa 50 persone da Atene perché avevamo appuntamento a 150 miglia a sud est di Cipro con altre due navi di Turchi ed Irlandesi per unirci in un unica flottiglia, imbarcare alcuni funzionari a Cipro e fare rotta verso Gaza. Il viaggio è stato molto lungo, faticoso e non con pochi imprevisti. A Cipro ad esempio, dove dovevamo imbarcare alcuni parlamentari di vari paesi europei, ai quali è stato negato il permesso di allontanarsi dalle autorità portuali, come a noi di attraccare per poter farli salire. Questo grazie alle pressioni dello stato Israeliano su quello cipriota, che vive una continua sudditanza ed un continuo ricatto, mercé i conflitti e gli interessi geopolitici nel nord di Cipro.
Abbiamo quindi perduto una giornata nel tentativo di far salire questi parlamentari che avrebbero potuto testimoniare questa missione. Siamo stati abbordati dalle autorità Cipriote, le quali hanno voluto controllare tutto il carico, le apparecchiature ed i materiali. Chiaramente la cosa che ci ha più impegnato è stato di controllare noi stessi, il lavoro delle autorità Cipriote per scongiurare che non ci fossero stati sabotaggi alle imbarcazioni, applicazioni di microspie o telecamere. Già si capiva quindi quale pressione di boicottaggio c’era su questa missione… Quindi abbiamo lasciato Cipro con queste premesse, come dicevo per incontrare le altre navi turche che si dovevano aggiungere, tra cui la tristemente famosa Mavi Marmara oltre che la Gaza e la Defne. Quello è stato forse il momento più emozionante, perché c’erano più di 55 nazioni rappresentanti tutto il mondo, circa 700 persone con 10.000 tonnellate di aiuti. E’ stato un momento davvero fantastico, accompagnato anche da una banda di musicisti Greci, che salutavano la partenza della missione, gente che girava tra le varie navi con ogni tipo di imbarcazione salutando ed inneggiando alla missione di pace, quello è stato un momento davvero toccante. Queste sono le uniche riprese che sono riuscito a salvare, essendo riuscito a mandarle indietro con alcuni giornalisti che tornavano verso la Grecia, poiché le restanti riprese sono state sequestrate dalle autorità Israeliane, cosa che non mi è mai successa in nessuna parte del mondo.
Quindi, dopo esserci incontrati e riuniti in una flottiglia, partiamo dirigendo la prua verso Gaza; nel viaggio sono state fatte delle esercitazioni per allenarci a metodi non violenti di protezione, soprattutto alla cabina di pilotaggio, al timone per rallentare quantomeno le operazioni, in caso di attacco della marina militare di Israele. Si facevano vari turni soprattutto la notte, perché la sensazione poteva far pensare ad un attacco notturno. Mentre si procedeva in formazione alle 11.30 circa del 29 maggio sono cominciati i primi messaggi radio delle autorità Israeliane che intimavano alla flotta di fermarsi, perché si stava per entrare in zona militare protetta, nonostante fossimo a 75 miglia a largo del Libano, quindi abbondantemente in acque Internazionali, nemmeno di fronte ad Israele. Ovviamente nessuno dei capitani ha risposto a queste richieste, ma dopo qualche ora cominciammo a vedere da lontano le luci delle corvette, che sembrava ci stessero scortando da lontano. Era il mio turno di riposo quando sono stato svegliato di soprassalto dal mio operatore che mi gridava nella cabina: “ARRIVANO ARRIVANO!”
Ho fatto in tempo ad infilarmi le scarpe, mettermi il salvagente ed imbracciare la telecamera, sono uscito fuori sul ponte, assistendo ad uno scenario apocalittico: decine e decine di Zodiac sfrecciavano da tutti i lati, un elicottero calava con le funi decine di militari sulla Mavi Marmara che era posta e circa 200 metri sul nostro bordo destro, un sottomarino navigava in mezzo alla nostra formazione.
Da subito si è capito che non sarebbe stata vita facile per i militari Isreliani perché i primi tentativi di abbordaggio alla Mavi Marmara, sono stati respinti, in quanto con mezzi di fortuna ed idranti gli attivisti sono riusciti momentaneamente a tamponare l’attacco, ma soprattutto a proteggere il timone e quindi a proseguire nella rotta verso Gaza. Sulla nostra nave dapprima i militari si sono limitati a sparare proiettili di gomma d’inchiostro ed alcune “SOUND BOMB” (piccoli ordigni assordanti per cercare di disperdere la gente), non riuscendo in questo intento, hanno usato pistole elettriche per farsi largo nella cabina di pilotaggio, picchiando chiunque gli si opponesse compreso il capitano, quasi in fin di vita.
Quando hanno cominciato a sparare sulla Mavi Marmara?
Appena la marina Isreliana ha preso il controllo sulle imbarcazioni, siamo stati divisi prendendo ogni nave una rotta divergente, quindi non posso testimoniare personalmente quello che stava succedendo sulla Mavi Marmara dove ci sono stati 16 morti (invece di 9, quanto dichiarato da Israele), anche perché in quegli attimi eravamo intenti a proteggere la nostra imbarcazione e la nostra stessa vita. Posso però riportare le testimonianze degli attivisti greci e turchi che ho incontrato successivamente quando siamo stati detenuti. Ma andiamo per ordine. Dopo il primo commando che aveva il compito di conquistare le nostre navi, ne è arrivato un altro di una cinquantina, che aveva il compito di scortarci sulla rotta di Israele e di sequestrare tutto il carico compresi i nostri effetti personali; essendo incappucciati non ho mai visto le facce dei militari, ma dagli occhi si vedeva che erano giovanissimi.
Questo secondo gruppo ci ha perquisito, preso i nastri e i passaporti. Arrivati dopo 6 ore di navigazione a Israele, lì siamo stati mostrati alle telecamere come prede di guerra. Un particolare che mi ha colpito, è che mentre mangiavamo, i giornalisti Ebrei cercavano di riprenderci con le telecamere per cercare di trasmettere poi alle Tv internazionali il messaggio che eravamo stati trattati bene dalle autorità. Tra l’altro il cibo era anche roba nostra e non offerta da loro… Siamo stati perquisiti e scannerizzati biometricamente in tutto il corpo, dopo di che c’è stato chiesto di firmare una carta internazionale, dove dichiaravamo di essere entrati illegalmente nel territorio di Israele, quando invece noi siamo stati rapiti e sequestrati in acque internazionali. Chiaramente la maggior parte degli attivisti e dei giornalisti si è rifiutato di firmare quella carta fasulla, quindi chi non ha firmato è stato trasferito nel carcere di Elak nel deserto del Negev a sud di Israele, tristemente noto per le condizioni di detenzione dei detenuti palestinesi. Non ci è stato permesso di telefonare, di comunicare con l’esterno, solo 2 giorni dopo siamo riusciti a parlare col Consolato, anche se per un brevissimo colloquio in mezzo ad una confusione di 100 persone. Alcuni di noi sono stati picchiati nel carcere, ciò perché la maggior parte di noi non riconoscevano lo stato di detenzione cercando di spiegare che noi stessi eravamo detenuti illegalmente ed oggetto di un sequestro e di gravi violazioni dei diritti civili internazionali. Qualunque cosa chiedevamo, anche la più banale, ci veniva rifiutata.
Abbiamo avuto un processo sommario da un giudice, che di fatto ci ha espulso perché secondo loro eravamo entrati illegalmente in Israele; mi è stato preso tutto quello che avevo, effetti personali, telecamere, nastri, portafogli con 500 euro, mi è stato confiscato il passaporto unica cosa per cui mi è stata consegnata una ricevuta.
Dopo 3 giorni ci hanno liberato per imbarcarci, pensavamo, alla volta dell’Italia oppure magari in Grecia: invece ci dicono che ci avrebbero mandati in Turchia e che i nostri bagagli ed effetti personali erano stati trasferiti. In quel momento per la prima volta ho perso un pochino il controllo, perché le autorità Israeliane nel momento di imbarcare me sull’aereo si chiedevano e mi chiedevano che fine avesse fatto il mio passaporto, che era stato sequestrato da loro stessi e di cui si erano perse le tracce della ricevuta. Ciò significa che se fossi stato espulso, mi sarei trovato in un Paese non comunitario, senza soldi, senza effetti personali e senza documenti. In quel momento ho cercato di far valere i miei diritti, sempre senza violenza, ma con fermezza, rifiutandomi di imbarcarmi, rifiutando ogni ordine datomi non prima di essere messo in contatto immediatamente col console. Questa mia rigidità, era stata supportata da altri attivisti di origine palestinese, ma cittadini inglesi ed irlandesi a tutti gli effetti, che si trovavano nella mia stessa situazione.
Questa è stata la miccia che ha provocato la reazione dei militari che non vedevano l’ora di poterci malmenare e cosi è stato all’interno dell’aeroporto. Ho riportato varie contusioni in tutto il corpo. Solo dopo, al rientro in Italia, ho scoperto che il console Italiano era negli uffici al piano di sotto e gli veniva a sua volta negato il permesso di parlarmi; questo è abbastanza esplicativo su come in terra di Israele vengano trattati i nostri diplomatici e come viene considerato il nostro Paese “alleato”…
A quel punto dopo interminabili minuti a difendermi dalle percosse, sono stato nuovamente sequestrato per la seconda volta, ammanettato e portato via da degli uomini in borghese, vestiti di nero, che presumo fossero servizi segreti Israeliani.
É questo forse il momento che più mi ha terrorizzato, perché ci siamo trovati in mezzo al deserto da soli, condotti con dei furgoni da questi individui, che ci minacciavano di morte, ci dicevano che ci avrebbero fatto sparire senza lasciare traccia: cosa che di certo non sarebbe stata la prima volta a Israele.
Siamo stati condotti in una sorta di piccolo “CIE”, Centro Espulsioni Immigrati, dove dopo circa 12 ore senza acqua e senza cibo è cambiato il trattamento, dopo le continue pressioni del consolato italiano.
Ed è proprio lì, in questo Centro Espulsione che ho incontrato alcune infermiere Australiane che si trovavano sulla Mavi Marmara nel momento dell’attacco. Queste ragazze mi hanno fatto un racconto tanto terribile quanto lucido, su quello che era successo sulla nave, parlandomi di un numero di morti differente da quello dichiarato dalle Autorità Israeliane, parlandomi di esecuzioni sommarie, proiettili sparati a brucia pelo ed alla nuca, mi ha parlato di corpi ancora vivi gettati in mare e di molte altre cose che preferisco non dire. Poi quello che forse impressiona maggiormente, è che non si capisce perché
sia sparita la lista dei passeggeri della Mavi Marmara, quindi le stime esatte non le sapremo probabilmente mai.
Perché se la sono presa così tanto con la Mavi Marmara? Perché c’erano sopra gli aiuti oppure perché hanno reagito più duramente?
Penso perché sono stati più combattivi, dato che i militari non riuscivano ad abbordare la nave da sotto, hanno calato le persone dagli elicotteri e ci sono non poche testimonianze che dicono che nel tentativo di farsi largo sul ponte hanno sparato tra la folla. Chiaramente la gente ha cercato di difendersi con mezzi di fortuna, come coltelli da cucina o pezzi di ferro presi dai corrimano della nave, estintori, tutti mezzi rimediati lì sul momento, che testimoniavano come da parte dell’equipaggio non c’era premeditazione, ne erano provvisti di armi da fuoco, come è stato detto.
Poi il resto è stato una sparatoria continua, un operatore che aveva il compito di riprendere la missione in diretta streaming 24 su 24 è stato colpito alla fronte mentre riprendeva la scena.U n altro giornalista è stato colpito alla nuca.
Si sa che nelle missioni a volte c’è qualche infiltrato, qualcuno definito dai media “terrorista di Hamas”; hai la sensazione che potessero esserci attivisti palestinesi su quella nave?
Su Hamas bisogna fare un po’ di chiarezza, perché non è che Hamas si può cancellare dalla faccia della Terra, in quanto ha democraticamente vinto le elezioni politiche nel 2006, ciò significa che se tu vai negli uffici pubblici o nelle scuole o alla frontiera, trovi gente di quello schieramento politico ed hai a che fare con loro. Ora, io da giornalista, come ho a che fare con la polizia italiana, con gli uffici pubblici ecc, in Palestina altresì ho a che fare con la gente di Hamas! Semplice. Quindi era ovvio che sulla nave ci fosse qualcuno che aveva votato per Hamas, che in fin dei conti è anche un partito politico. C’era di sicuro. I militari Israeliani avevano una lista di nomi, una sorta di blocco notes che si vede anche nelle immagini, un libretto con un elenco di ricercati.
Però scusa, i militari hanno sparato prima di verificare questa lista di nomi?
Esatto! Di certo non c’è stata un’aggressione degli attivisti verso i militari anche perché altrimenti il conteggio delle vittime sarebbe molto maggiore; è grottesco infatti che questa sia la versione ufficiale che lo stato di Israele ha dato alla comunità internazionale, manipolando la realtà in modo intollerabile.
La mia storia finisce con un volo governativo, insieme alla signora Stefania Craxi che mi è venuta a prendere apposta, alla quale dopo averle raccontato la mia storia ho domandato, se ci fosse stato il padre, se avrebbe permesso tutto ciò… La sua risposta è stata netta e lapidaria: “No.”
Lo Stato ti ha cercato, si è messo in contatto con te per scusarsi, darti spiegazioni?
Mah, lo Stato… In realtà se intendi i politici, non ci hanno cercato davvero. Casomai i Funzionari ed il Consolato, quelli si devo dire che ci hanno sempre sostenuto. Gloria Bellelli, Giuseppe Capitani ed altri Funzionari si sono dimostrati molto attenti ed umani. Quello che dispiace è vedere come loro stessi vengono trattati dall’ultimo dei Funzionari Israeliani, praticamente come una pezza da piedi. Ciò da modo di interpretare come Israele tratta i suoi alleati.
A questo punto sicuramente faremo qualcosa in senso giuridico, il mio avvocato sta lavorando in coordinamento con gli altri avvocati di varie parti d’Europa per curare questo caso. La cosa grave e che mi lascia davvero perplesso è come l’Italia insieme all’Olanda e gli Stati Uniti, si siano opposti ad un’inchiesta internazionale indipendente per fare chiarezza su questa vicenda, il che esprime purtroppo in una certa misura la sudditanza che l’Italia e gli Stati uniti hanno verso Israele. Una cosa voglio dire a chiusura di questa piacevole intervista con voi: mi dispiacerebbe il fraintendimento di essere considerati eroi per questa storia. Tutto quello che è successo a noi, è nulla in confronto al dramma che vive la popolazione palestinese quotidianamente. Ci scandalizziamo quando succede a noi, ma lì accade questo tutti i giorni e in modo assai più cruento, ad un intera popolazione: donne, uomini, bambini e vecchi che in Cisgiordania, ma specialmente a Gaza, soffrono della mancanza dei più basilari diritti umani.