Accade ogni anno con l’arrivo dell’estate. Centinaia di cetacei vengono costretti da una miriade di piccole imbarcazioni a spiaggiarsi in una delle tante baie dell’arcipelago delle Faroe dove trovano la morte per mano dei cacciatori che armati di coltelli recidono il midollo spinale degli animali. Si tratta di una tradizione dura a morire e documentata dalla Sea Shepard, organizzazione o profit che si batte da anni per la tutela degli oceani e della fauna marina.
“Dal 1984, abbiamo svolto numerose missioni di intervento nell’arcipelago” dicono gli attivisti che nella prima caccia dell’anno del 16 luglio hanno visto morire 252 balene pilota e 35 delfini dai denti obliqui. “Nel 2014, una missione coordinata da Sea Shepherd France ha salvato centinaia di delfini (33 delfini uccisi contro più di 1300 nello stesso periodo dell’anno precedente). La nostra efficienza sul posto è stata però un’arma a doppio taglio perché ha portato al passaggio di una legge locale, sostenuta dalle navi militari danesi, che proibisce a qualsiasi nave Sea Shepherd di andare nell’arcipelago. Sfortunatamente, non siamo in grado di competere con le navi militari.”
La caccia alle balene è una tradizione millenaria risalente ai primi insediamenti sulle isole Faroe. Per secoli, la caccia ha infatti garantito la sopravvivenza della popolazione nativa. Per questo motivo la caccia conosciuta come grindadráp è ancora permessa e non regolamentata perché dichiarata non commerciale, anche se la carne di questi cetacei viene comunque venduta nei supermercati e considerata una prelibatezza nei ristoranti. Tuttavia, nel corso degli anni le abitudini delle persone sono cambiate, così come i metodi di sussistenza, rendendo questa pratica anacronistica.
In media ogni anno nelle Faroe vengono massacrati 1.500 cetacei di diverse specie attraverso questa pratica proibita nei paesi dell’Unione Europea a cui però queste isole non rispondono; infatti nonostante appartengano alla Danimarca, non hanno mai fatto ingresso nella UE.