Landraces
Le “Landraces” sono le varietà autoctone, selvatiche, locali, di un vegetale (Cannabis nel nostro caso), utilizzate o coltivate a volta dagli esseri umani, ma non selezionate e quindi non migliorate intenzionalmente, ma costituite dagli individui con le caratteristiche più adatte a quel particolare ambiente. La Cannabis ha sempre accompagnato l’uomo nella sua diffusione sulla terra, tanto da essere presente oggi a tutte le latitudini, dalla Siberia all’Equatore e da qui alla Terra del fuoco. Non si sa l’esatta origine della Cannabis (molti miti dicono arrivi da un altro luogo nell’Universo…), ma, fino a prima della sua proibizione ed al tentativo folle di alcuni uomini di farla scomparire, in ogni particolare microclima esistevano varietà locali di Cannabis. Per la maggior parte dei luoghi (in Italia in particolare) la Cannabis veniva coltivata in pieno campo, ma numerosi semi venivano portati lontano da uccelli, capre, pecore, erbivori e onnivori in genere (uomo compreso) che mangiano le piante o i semi stessi e poi li rilasciano in altri luoghi tramite le loro deiezioni. A questo proposito vorrei ricordare che la Cannabis che cresce ancora selvatica nelle montagne asiatiche rappresenta un serbatoio di cibo indispensabile agli uccelli migratori, e che se dovesse scomparire il danno ecologico sarebbe incalcolabile.
Le piante che nascono da sole, senza l’intervento dell’uomo, sono sottoposte ad una selezione naturale durissima. La competizione con le altre piante è il primo problema, e soltanto una grande capacità di adattamento rende possibile ad una specie sopravvivere in microclimi diversi. Gli individui nati al di fuori della coltivazione, sopravvissuti a tutti gli attacchi dell’ambiente circostante, che arrivano a formare semi fertili, saranno i progenitori di quella che potrà diventare una varietà autoctona. La Cannabis ha una grande capacità di adattamento, e se trova un terreno che la ospita (senza venire distrutta dagli uomini), nel giro di poche generazioni sarà in grado di modificare alcuni suoi caratteri morfologici per poter sopravvivere al meglio in quel particolare microclima. Purtroppo il proibizionismo ha fatto sì che in molti luoghi del pianeta scomparissero le coltivazioni di Cannabis e ha fatto perseguitare anche le piante nate senza l’intervento umano.
Dalle “landraces”, per selezione degli individui più forti per quel particolare microclima, e con i tratti genetici che più possono interessare (taglia della pianta, contenuto e qualità della fibra, della resina, dei semi, ramosità, qualità del fusto, resistenza ai parassiti e alle malattie, tempi di maturazione) si sono create le varietà di Cannabis per diverse utilizzazioni. A volte per scopi diversi, nello stesso ambiente (ad es. in Turchia convivevano varietà da fibra ed altre da resina). Ricordiamo la più famosa ed importante varietà da fibra, la “Carmagnola”, nata dalla selezione delle migliori piante di una qualità autoctona, una delle “landraces”, l’antica “Pedemontana”, ormai scomparsa.
Il proibizionismo ha fatto sì che molte delle “landraces” originali scomparissero, sia perché piante da fibra con una quantità di principio attivo non più accettata dalle nuove folli legislazioni (anche se si riconosce che la capacità della Cannabis di resistere a molti patogeni sta proprio nei cannabinoidi presenti nella resina, e le nuove “cultivar” industriali spesso necessitano di trattamenti antiparassitari), sia, se da resina, per l’introduzione di nuovo materiale genetico proveniente da altre latitudini, sia soprattutto a causa di una paura irrazionale verso un vegetale dovuta esclusivamente ad una ben orchestrata propaganda. La selezione delle migliori varietà da resina da tutto il mondo, ed il loro incrocio, hanno portato, negli ultimi 40 anni, alla creazione di numerose nuove varietà, perlopiù adatte ad essere coltivate in interni o in spazi ristretti. Purtroppo la grande maggioranza di questi nuovi “strain” vengono riprodotti in interni, con microclimi creati artificialmente e standardizzati, con tecniche di riproduzione che indeboliscono il patrimonio genetico ed impediscono il riconoscimento degli individui con quelle differenze che li renderebbero vincenti in ambienti diversi. La forza della Cannabis sta nel suo naturale modo di riprodursi: una singola infiorescenza può essere fecondata dal polline proveniente da decine di maschi diversi, e produrre semi contenenti combinazioni genetiche alquanto variabili. Stava alla capacità di riconoscimento del canapicoltore scegliere gli individui che più potevano rispondere ad esigenze ideali e farli riprodurre per ottenere, da piante selvatiche, nuove “cultivar” (lo stesso di “varietà” o “strain”).
Occorrono 3-4 generazioni per far si che una nuova varietà si adatti con successo ad un nuovo ambiente, e già dalla seconda generazione si cominciano a vedere piante che riescono a sfruttare le diverse condizioni di crescita. La nostra società vorrebbe che tutto sia uniformato e standardizzato. Questo per facilità di commercio e di meccanizzazione. Ma la biodiversità è la chiave per la preservazione della vita sul pianeta.
Oggi si tende a coltivare piante che siano tutte cloni dello stesso individuo, semi nati da genitori provenienti entrambi da cloni della stessa pianta (quindi con un patrimonio genetico identico), ma è importante preservare la diversità genetica, e personalmente preferisco avere a disposizione individui (piante) che siano diversi fra loro: mi fa più piacere utilizzarli in momenti diversi e c’è sempre la possibilità che una particolare combinazione di geni porti a qualcosa di eccezionale… Ed il fumo più buono è quello proveniente da piante tutte diverse fra loro in quanto ad aromi e percentuali di cannabinoidi.