L’addio alle armi di Snoop Lion e T.I e la guerra alla violenza
I due rapper americani, come l’Henry del celebre romanzo di Hemmingway, hanno scoperto che la violenza causata dalle armi è molto meno affascinante di quello che un ragazzino che ancora puzza di latte col mito del Gangsta rap, o del sempreverde pistolero del vecchio west, potrebbe pensare. Snoop, che nel frattempo ha sostituito il cane come animale votivo con un leone rastafariano, ha unito le forze con T.I. per dare il via ad una grande campagna contro la violenza armata. La Lega dei giovani elettori, il network BET, insieme a leader della comunità e personaggi dello spettacolo hanno contribuito a far nascere un grande dibattito seguito all’iniziativa “No Guns Allowed”. “Ho perso molti amici a causa della violenza e delle armi e ho visto molti innocenti morti ammazzati. E’ una cosa che mi porto sempre dentro e che mi colpisce direttamente al cuore”, ha raccontato Snoop. Perché tutto è partito proprio da lui e dalla sua recente canzone che ha dato il nome all’iniziativa. “Nessuno se non noi, risolverà i nostri problemi – ha ribadito Rob Beker della Lega dei giovani elettori – e noi abbiamo bisogno di stare nelle nostre strade e del calore che ci danno. Insieme possiamo fare qualcosa per risolvere la situazione”. T.I., che in passato è stato incriminato per detenzione di armi da fuoco, ha raccontato che: “una pistola non mi ha mai salvato la vita, è stato Dio a farlo”. Tutto questo nel momento in cui il Children’s Defense Fund ha dimostrato in uno studio come l’omicidio sia la prima causa di morte per gli afroamericani di età compresa tra i 15 e i 24 anni.
D’altra parte il tema della non violenza è da sempre al centro della cultura hip hop come contraltare alle troppe vendette che hanno privato il mondo di eccezionali rappresentanti della scena. Dagli Afrika Bambaataa che supportavano jam nel Bronx River Project per promuovere la pace all’inizio degli anni ’70, all’Hip Hop Peace Summit creato da The Nation of Islam (con artisti come Snoop Dog, Tha Dog Pound, Ice Cube, Bones Thugs And Harmony, Channel Live, Nate Dog, Mack 10) arrivando a T-Kash che l’anno scorso ha corso la maratona di Oakland dedicata alla non-violenza. In mezzo c’è stato Krs One che ha lanciato lo Stop the Violence Movement e che nel 2001 ha guidato una delegazione che ha presentato alle Nazioni Unite “The hip hop declaration of peace”. C’è stata poi Self Destruction (con Krs One, MC Lyte, Kool Moe Dee, Public Enemy) che tre anni fa, con l’apporto di Krs One, Redman, Method Man, Busta Rhymes e altri, è diventata “Self Consrtuction”, un inno contro la violenza delle armi.
Il problema di fondo, della vita di strada in qualsiasi periferia del mondo, rimane lo stesso. Come ci è stato magistralmente raccontato da Mathieu Kassovitz col film “L’odio”. Lui fa una scelta di campo: quella di narrare una vicenda dal punto di vista di tre ragazzi cresciuti in mezzo alla strada, della quale hanno assimilato il gergo e la durezza, dove le istituzioni non risultano soltanto assenti, ma ostili. Il bianco e nero del film diventa metafora di una condizione sociale: per i colori non c’è spazio. Bisogna precisare che il film nasce come atto di denuncia per l’uccisione di un ragazzo di nome Makomè nella periferia parigina ad opera di un poliziotto, avvenuto due anni prima del lancio del film. La storia realmente accaduta di un ragazzo che si sveglia una mattina come le altre e la sera viene ucciso.
Tutto il film si modella su un tema classico del cinema: il martire, gli amici, l’ordine costituito e l’ingiusta violenza subita. E riporta alla ribalta il tema della “pistola sepolta” dove in genere l’eroe che è cresciuto e ha dimenticato gli errori del passato, è costretto dalle circostanze a ritirare fuori l’arma per rimettere tutto a posto. Qui il dilemma è se utilizzare o meno la pistola persa da un poliziotto, che assume l’importanza di un vero e proprio personaggio, per vendicare la morte di un giovane amico uccidendo un tutore dell’ordine e pareggiando così i conti. Una Smith&Wesson a canna corta interamente cromata, che è stata letteralmente sepolta in un garage da Vince, che l’ha ritrovata e la mostra agli amici. Poi, dopo la “redenzione” e la consegna dell’arma all’amico Hubert in segno di pacificazione, accade che sia proprio lui ad essere ucciso inavvertitamente da un colpo partito dalla pistola di un poliziotto che lo stava deridendo. Il finale si gioca sulle geometrie delle armi puntate tra Hubert e lo stesso poliziotto, ma senza sapere come vada a finire (si sente uno sparo ma non si sa chi muoia). Questo perché Kassovitz vuole suggerire che il problema non ha una fine. Il paradosso, che non sempre viene compreso come tale, sta nel fatto che la violenza dello stato o delle istituzioni che lo rappresentano, sia la base ovvia ed irrinunciabile dell’ordine costituito, proprio perché questa condizione di ordine sarebbe costantemente minacciata da un’altra violenza, quella caotica che proviene dai delinquenti o dai sovversivi. Così la violenza è contemporaneamente la malattia e la cura, la fonte della paura e quella della sicurezza, il disordine supremo, contro l’ordine per eccellenza. Se è vero che il problema è la caduta, e non l’atterraggio, restiamo ad assistere, con gli stessi occhi attoniti di Said nel film, a sparatorie quotidiane e morti ammazzati in tutto il mondo. Sperando che l’esempio di Snoop e T.I. serva a qualcosa e consapevoli che la violenza non può essere la soluzione, né quella che nasce dal disagio e dalla sofferenza, né tantomeno quella di chi dovrebbe servire lo stato.
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Mario Catania