La vendita di semi di cannabis non costituisce istigazione all’uso
Il principio della nuova pronunzia è importante perché escluderebbe che vendere semi di cannabis costituisca forma di istigazione all’uso, semmai si potrà discutere di volta in volta se si tratti di istigazione alla coltivazione e questa potrebbe costituire l’unica ipotesi di reato contestabile. La pronunzia in questione è favorevole ai titolari della ditta Semitalia che, pur dovendo venire nuovamente processati in appello, hanno ampie possibilità di un’ennesima assoluzione (oltre le 2 già ottenute).
L’avvocato Carlo Alberto Zaina, nostro legale di fiducia, è colui che ha seguito il caso e che ha discusso innanzi alle SSUU in opposizione al ricorso del PM di Firenze: l’esclusione della configurabilità dell’istigazione all’uso (art. 82) costituisce accoglimento pieno e totale delle tesi difensive, sostenenti che vendere i semi di cannabis non significa istigare ad usare stupefacenti.
L’annosa questione concernente l’applicabilità dell’art. 82 dpr 309/90 (norma che sanziona l’istigazione, l’induzione e il proselitismo all’uso di sostanze stupefacenti) rispetto alle condotte di coloro che pongano in commercio semi di cannabis, sia attraverso la consueta rete di negozi, sia via siti web, è approdata all’esame delle SS.UU. della Corte di Cassazione ed è stata decisa all’udienza del 18 ottobre u.s..
Era stata, infatti, la Terza Sezione Penale della Corte [1]*, con l’ordinanza n. 25355/2012, ad evidenziare l’esistenza di una situazione di apparente incertezza della giurisprudenza di legittimità sullo specifico punto di diritto.
La Terza Sezione aveva, inoltre, sottolineato l’equivocità di talune decisioni, si che si sarebbero creati tre orientamenti ermeneutici (due dei quali uniformemente indirizzati a sussumere la condotta commerciale nella fattispecie di delitto descritto dalla norma e, quindi, a considerare come punibile la vendita dei semi, quale istigazione).
Questi orientamenti costituivano, quindi, espressioni di conclusioni diametralmente differenti, opposte e configgenti.
Sicché, in una condizione di incertezza, costituiva atto dovuto, la scelta di delegare le Sezione Unite al compito di fornire una soluzione definitiva, che regolamentasse la controversia insorta.
Affermava, tra l’altro, l’ordinanza di rimessione, che:
a) un primo indirizzo intendeva come sanzionabile, già di per sé, la condotta di pubblicizzazione di semi di piante idonee a produrre sostanza stupefacente.
b) un secondo indirizzo riteneva perfezionata la fattispecie penalmente rilevante, ove il “contesto” ed il “contenuto delle espressioni usate” apparissero sufficienti ad indurre i destinatari all’uso di stupefacenti.
c) un terzo indirizzo, ribadendo l’esclusione in radice della illiceità della vendita di semi di cannabis, richiede – per addivenire alla configurabilità concreta dell’ipotesi prevista dall’art. 82 dpr 309/90 – un elemento ulteriore, rispetto alla mera propaganda pubblicitaria.
L’attenzione delle SS.UU. si è, dunque, incentrata sul quesito di diritto che testualmente recita: Se integra il reato di istigazione all’uso di sostanze stupefacenti la pubblicizzazione e la messa in vendita di semi di piante idonee a produrre dette sostanze, con l’indicazione delle modalità di coltivazione e la resa.
La questione, affrontata con la decisione il cui dispositivo s’illustra, in attesa della pubblicazione delle motivazioni, è venuta ad involgere, così, gli artt. 26, 73, 82 e 84 del T.U. Stup. 309/90 e 414. e 84 c.p. .
Si deve, infatti, rilevare che il ricorso per Cassazione della Procura della Repubblica di Firenze, oltre, a dolersi della presunta falsa ed erronea applicazione degli artt. 82 e 84 della legge sugli stupefacenti, introduceva in via subordinata ed alternativa, alla richiesta principale, anche il tema della sussistenza della possibile configurabilità del combinato disposto dagli art. 414 c.p. e 73 dpr 309/90, in relazione a quelle ipotesi di commercio di semi di cannabis che presentino, in modo in equivocamente deliberato anche attività di esplicazione delle tecniche coltivative.
Questa prospettazione di evidente carattere ipotetico-alternativo era stata, peraltro, disattesa dal giudice di prime cure (il GUP di Firenze).
Ad avviso del giudicante, infatti, la differente natura delle due ipotesi di reato (una istigazione ad una condotta non reato, l’altra istigazione ad una condotta di reato) escludeva a priori qualsiasi possibilità di commistione fra le stesse e, quindi, la configurazione di una estrometteva logicamente l’altra in relazione alla fattispecie in oggetto.
La soluzione adottata dalle SS.UU. pare avere colto e valorizzato, invece, proprio quest’ultimo tema, venendo ritenuta la possibilità della formulazione di una contestazione del reato di istigazione alla coltivazione (art. 414 cp e 73 dpr 309/90)
La soluzione addottata è la seguente “Negativa, salva la possibilità di sussistenza dei presupposti per la configurabilità del reato ex art. 414 cod. pen. con riferimento alla condotta di istigazione alla coltivazione di sostanze stupefacenti”.
Pare, dunque, di potere affermare che l’ordinanza in commento ha tassativamente e definitivamente negato l’applicabilità dell’art. 82 dpr 309/90 al commercio di semi di cannabis.
In buona sostanza, il tentativo di estendere la valenza della norma di cui all’art. 82, anche a casi del tutto ultronei all’operatività della stessa, avveniva, in sede giurisprudenziale, pur in presenza di un’inequivoca e tassativa struttura espositiva del testo, il quale mirava a sanzionare esclusivamente condotte (istigatorie) collegate in modo esclusivo e diretto all’uso di stupefacenti.
E’ naturale, però, il rilievo, già anticipato, che “l’istigazione o l’induzione a coltivare” costituisce, però, comportamento completamente diverso ed affatto confondibile rispetto all’”istigazione all’uso di sostanze stupefacenti”.
Siamo, infatti, dinanzi a due momenti ed a due comportamenti, assolutamente indipendenti e tra loro autonomi, i quali semmai, possono risultare logicamente successivi sul piano temporale.
Va, inoltre, considerato che la ratio dell’art. 82 dpr 309/90 postula la punibilità di un atteggiamento (“l’istigazione”) che non è affatto finalizzato a determinare un soggetto a commettere un reato, in quanto l’uso di stupefacenti non costituisce ipotesi penalmente sanzionabile, bensì illecito puramente amministrativo.
Diversamente, l’ipotizzazione dell’abbinamento, da parte del commerciante, fra la vendita di semi di cannabis (lecita) e la divulgazione di metodologie specifiche e qualificate per produrre sostanze stupefacenti (illecita), può costituire una situazione di “istigazione” alla commissione di un reato (la coltivazione ex art. 73 co. 1 dpr 309/90).
Appare, peraltro, evidente dallo stesso tenore letterale della massima che “…la possibilità di sussistenza dei presupposti per la configurabilità del reato ex art. 414 cod. pen. con riferimento alla condotta di istigazione alla coltivazione di sostanze stupefacenti”, costituisce un’ipotesi di reato meramente residuale.
Ritengo, però, che i criteri ermeneutici da utilizzare, al fine di addivenire – di volta in volta – alla valutazione della configurabilità (o meno) del reato di istigazione alla coltivazione, non potranno discostarsi sensibilmente, da quelli adottati sino a od oggi.
Essi dovranno – ad avviso di chi scrive – ancorarsi a quel ragionevole criterio espresso dalla giurisprudenza della Sezione Quarta, che ha predicato:
1) l’esclusione in radice della illiceità della vendita di semi di cannabis,
2) il raggiungimento della prova di una serie di attività d’informazione, diffusione ed esaltazione comunicativa, che si pongano in relazione strumentale ed in equivoca, oltre che risultino deliberatamente orientate a promuovere ed a favorire la coltivazione.
*[1] A tale sezione della Corte di Cassazione (R.G. 43237/2011), il processo era giunto a seguito del ricorso per Cassazione proposto dal PM presso il Tribunale di Firenze, avverso la sentenza resa dal GUP di Firenze il 1° giugno 2011, che assolveva gli imputati perché il fatto non sussiste dall’accusa di violazione dell’art. 82 dpr 309/90.