La vecchia Europa delle banche e delle lobbies la dobbiamo cambiare noi
E così un’altra elezione europea è andata in archivio. Per l’ottava volta nella storia gli europei si sono recati ai seggi per stabilire la composizione del parlamento europeo. A pensare che la prima volta in cui questo successe, nel 1979, gli stati membri erano appena otto, il muro di Berlino era solidamente al suo posto ed in Italia Andreotti guidava il governo di unità nazionale del post omicidio Moro, sembrerebbe passata un’eternità. Ed infatti l’Europa sembra già così vecchia, stanca e contestata da sembrare più simile all’impero romano ai tempi della caduta che non a un’istituzione ancora in costruzione.
Di ciò che doveva essere quel sogno europeo di prosperità e pace se ne vedono poche tracce, ed anzi la pace è occultata da sempre più frequenti interventi militari da vassalli degli Usa e la prosperità paiono vederla solo dai vertici di banche e multinazionali, mentre ai cittadini spettano leggi sul lavoro sempre più umilianti e la concorrenza disperata dei nuovi schiavi provenienti dal terzo mondo. Non c’è da stupirsi che in quasi tutti i paesi europei in queste elezioni abbiano ottenuto grandi risultati partiti e movimenti politici fortemente critici nei confronti dell’Unione Europea e la sua moneta unica. Oggettivamente, a meno che tu non sia tedesco o di qualche altra nazione del nord Europa, ci vuole o molta fede o molta ingenuità per continuare a dare fiducia alla classe politica che fino ad oggi ha guidato questa Europa fatta di troika, tecnocrati e banchieri. Se l’obiettivo delle istituzioni che fino ad oggi hanno governato l’Ue fosse quello di dare un senso all’Europa costruendone una che possa realmente essere avvertita con favore dai suoi cittadini sarebbe il caso che, avvertito il pericolo e l’insoddisfazione generale, dal Parlamento europeo si occupassero finalmente di costruire un nuovo tipo di Unione: basata sul diritto alla casa ed al reddito, sui diritti civili e sull’ambiente. Ma visto che è difficile sperare che da domani istituzioni private di ogni controllo democratico come la Bce e il Fondo Monetario Internazionale si mettano ad occuparsi di questi temi lasciando da parte i favori che devono ai loro veri datori di lavoro che risiedono nelle banche e nelle lobby, forse è il caso di provare ad obbligarli a farlo. Le occasioni per provarci non mancherebbero. Il voto certo, ma anche per esempio a cominciare da manifestazioni come quella dello scorso 11 luglio, dove a Bruxelles giacche inamidate provenienti dalle élite politiche e finanziarie di tutta Europa si sono incontrate al “Vertice europeo sulla disoccupazione giovanile”. Inizialmente il vertice si sarebbe dovuto tenere a Torino, ma il presidente del Consiglio Renzi ha ben pensato di rinunciare all’organizzazione del meeting per timore di proteste e scontri. Poco male, perché i più volenterosi si sono organizzati per raggiungere la capitale belga.
E poi, altrettanto fondamentale, vi è la sperimentazione di stili di vita o modi di produzione alternativi, perché in Europa (e tra gli europei) un vero cambiamento può avvenire solo tramite il coraggio di tentare realmente un diverso modo di vivere, produrre e abitare il continente. Certo sono cambiamenti che devono avvenire anche dall’alto, tramite una politica europea più lontana dalle lobby legate al petrolio e al vecchio modo di fare industria, ma è dalle persone comuni che deve partire una vera presa di coscienza, che possono realmente incidere tentando di applicare nel quotidiano stili di vita diversi. Un esempio? Per quanto ci riguarda è facile, innanzitutto cominciare ad utilizzare fibre vegetali come la canapa per produrre abitazioni, carta e oggetti o per bonificare i terreni contaminati dall’inquinamento come già si sta sperimentando con successo nella Taranto devastata dai fumi delle acciaierie o nella terra dei fuochi. Ma anche iniziando ad essere maggiormente attenti e selettivi nello scegliere cosa acquistare, evitando cibi di produzione industriale nocivi per l’ambiente e la salute. Perché i governi e le lobby fanno il loro gioco, ma questo non deve diventare un alibi, sta a noi attraverso il voto, le azioni politiche e le pratiche quotidiane mostrare una nuova via e provare a cambiare l’esistente.