La moderna industria alimentare sta distruggendo il pianeta
Se il pensiero chiave di un magistrato come Falcone nel tentativo di scardinare l’impero della mafia siciliana era “follow the money”, Stefano Liberti per ricostruire chi sono i padroni del cibo col quale nutriamo il nostro corpo ed i nostri desideri ha seguito la filiera di quattro prodotti chiave: la carne di maiale, la soia, il tonno in scatola ed il pomodoro concentrato. La conclusione dell’autore, giornalista e scrittore di livello internazionale che ha scritto inchieste e documentari premiati a vari livelli, è che l’industria alimentare sta distruggendo il pianeta. Insomma: l’attuale modello di produzione del cibo necessario a sfamare i miliardi di persone sulla terra (saranno nove miliardi nel 2050) non è più sostenibile. I 2 anni di inchiesta in giro per il mondo sono racchiusi nel libro “I signori del cibo, viaggio nell’industria alimentare che sta distruggendo il pianeta”, pubblicato da Minimum Fax, in cui l’autore racconta che il cibo è diventato il nuovo terreno di conquista di grandi aziende che vedono solo una nuova possibilità per speculare. La finanza globale ha da tempo fiutato l’affare, insieme alle multinazionali del settore, trasformando il pianeta in terra di conquista ed il cibo in semplice merce, svuotandolo del proprio valore, eliminando la stagionalità dei prodotti e piegando le logiche produttive ad una sola variabile: i soldi.
Qual è la cosa più sconvolgente di cui ti sei reso conto nei tuoi due anni di lavoro?
In generale la cosa che mi ha colpito di più sono i movimenti estremi ed irrazionali del cibo attraverso il pianeta. Quando ho iniziato a fare questa ricerca non immaginavo di spingermi così lontano. In particolare una delle cose più sconvolgenti riguarda gli allevamenti intensivi di maiali e le metodologie di smaltimento dei reflui e cioè questi enormi laghi di deiezioni di suini che ho visto negli Stati Uniti. È una cosa che personalmente mi ha sconvolto e mi ha spinto anche ad andare oltre per raccontarlo nel libro.
Tra l’altro con grossi problemi di smaltimento a livello ambientale…
L’allevamento intensivo è una bomba ad orologeria pronta a scoppiare perché produce un consumo di suolo spaventoso perché gli animali all’interno degli allevamenti devono essere nutriti con cereali e legumi come mais e soia che devono essere coltivati su estensioni enormi, ed al contempo produce una quantità di scarti altamente inquinanti spaventosa. Necessariamente pongono un problema di sostenibilità e secondo me è una grande emergenza che è poco discussa nel dibattito attuale, in tutto il mondo ma anche in Italia.
Con conseguenze che ricadranno sulle generazioni futuro, no?
Il sistema alimentare industrializzato incentrato su queste produzioni a larga scala, consuma più risorse di quante ne rigenera e quindi necessariamente produce dei danni che ricadranno sulle prossime generazioni. Poi dipende, quelli che ho scelto io nel libro sono prodotti emblematici: una carne, un pesce, un frutto ed un legume. Ma i viaggi e gli incontri che ho fatto io in realtà sono riproducibili per gran parte del sistema alimentare globalizzato, la cui caratteristica principale è che il cibo è sempre di più una commodity, può essere prodotto in modo simile in tutto il mondo e diventa effettivamente identico in tutto il mondo, con le conseguenze che dicevamo prima.
Si produce sempre di più con costi sempre minori, ignorando la qualità, le conseguenze sull’ambiente ed i diritti di chi lavora nelle varie filiere, è corretto?
Il dibattito mondiale è molto incentrato sul fatto che la popolazione aumenta, con stime che parlano di oltre 9 miliardi di persone nel 2050, e per far fronte alla crescita si deve aumentare la produttività e quindi produrre più cibo, mantenendo l’attuale sistema di produzione e commercio. Io credo invece che bisognerebbe cambiare il paradigma e produrre in modo diverso. Innanzitutto riducendo i consumi e la produzione di carne industriale e degli allevamenti intensivi che hanno un consumo di suolo, un potenziale inquinante ed un bilancio energetico fortemente negativo, a livello globale. E poi ridurre anche gli sprechi, perché sostanzialmente un terzo del cibo che viene prodotto viene sprecato o durante la fase stessa di produzione o in quella del consumo.
In questo modo si potrebbe evitare di aumentare la produttività e al contempo poter sfamare tutta la popolazione mondiale. Quando si parla di sovrappopolazione in realtà bisognerebbe considerare prima questi aspetti: come modificare il meccanismo di produzione rendendolo più sostenibile, mantenendo lo stato delle risorse del pianeta in equilibrio ed evitando gli sprechi e le produzioni meno sostenibili.
L’italiano medio oggi è libero di scegliere cosa mangiare, o la sua scelta è influenzata dai grandi gruppi finanziari che controllano la produzione di cibo?
Il punto centrale da cui sono partito è che quando una persona va in un supermercato, non ottiene tutta una serie di informazioni che gli permetterebbe di fare una scelta consapevole. Quando acquisti un prodotto non sai da dove viene, da dove vengono gli ingredienti o quali processi industriali ha subito prima di arrivare sullo scaffale. E quindi si fanno una serie di scelte che sono determinate dalla variabile più evidente, e quindi il prezzo del prodotto, oppure da una serie di accorgimenti del produttore o del distributore come un packaging allettante, ma in realtà le informazioni reali non le hai.
Quindi siamo apparentemente liberi, perché possiamo scegliere un prodotto al posto di un altro, ma abbiamo un deficit di informazioni che dovrebbe essere colmato. Queste informazioni dovrebbe essere fornite in modo che ognuno di noi possa fare delle scelte più consapevoli.
Ad esempio?
Consideriamo il pomodoro prodotto in Cina che viene trasformato e ritrasformato, oppure il pomodoro cresciuto in un’azienda italiana, che impiega lavoratori con contratti giusti, che fa un consumo di acqua consapevole e riduce le emissioni di CO2, allora io posso anche scegliere di prendere quello cinese perché lo pago meno, però lo faccio consapevolmente.
Ma al momento queste informazioni non le ho, anche perché dietro ad ogni prodotto c’è un sistema, un’economia, delle persone. L’emergenza di oggi è cercare di contrastare il cibo anonimo e di ridare un’identità a ciò che mangiamo in modo che tutti noi possiamo ridare valore a ciò che consumiamo facendo scelte consapevoli nel momento in cui lo acquistiamo.
Nel mondo quasi nulla viene consumato dove viene prodotto e sta scomparendo la stagionalità di frutta e verdura, come mai?
Il cibo in realtà ha sempre viaggiato nel corso dei secoli. Ma il livello a cui siamo arrivati oggi è patologico, in tutto il mondo, per cui troviamo i limoni argentini che costano meno di quelli coltivati in Campania, ed è un’aberrazione. Altro grave problema è che sono di fatto scomparse le stagioni, per cui noi dobbiamo avere sempre tutto a disposizione. Siamo a gennaio e troviamo sempre e comunque i pomodori che sono notoriamente estivi. Ovviamente i pomodori a gennaio sono molto meno buoni, perché fatti in serra, costano molto di più, ma rispondono ad una domanda del consumatore.
Bisognerebbe partire dalle scuole e rieducare le persone sul fatto che ci sono delle stagionalità, dei prodotti che sono presenti in alcuni mesi dell’anno e in altri no, se no viviamo una sorta di presente in cui c’è sempre tutto. Per ritrovare un rapporto diretto con il pianeta, dobbiamo consumare in modo più consapevole.
Cosa significa il fatto che oggi ci sono solo grandi gruppi che hanno fagocitato i piccoli e medi attori della filiera?
Dalle filiere che ho analizzato io ho capito che sostanzialmente quando il cibo diventa solo una merce, quelli che vincono sono dei grandissimi gruppi che hanno la possibilità di fare produzioni su larga scala, che hanno la possibilità di fare delle economie di scala e che quindi hanno la possibilità di vendere a costi più bassi, intervenendo sulla riduzione del costo del lavoro, dei trasporti e via dicendo. Sostanzialmente mandano fuori mercato tutti coloro che magari affrontano una produzione più sostenibile, che però è più costosa per produttore e consumatore.
Negli ultimi anni nel sistema alimentare globale i piccoli e i medi gruppi sono stati fagocitati dai grandi gruppi che li hanno acquisiti. Quindi il sistema alimentare così come i singoli prodotti alimentari sono controllati da grandi gruppi che in effetti hanno dentro di loro una serie di marchi diversi che appartengono di fatto alle stesse persone.
È un regime oligopolistico che è preoccupante. Poi ci sono tutta una serie di produzioni piccole o piccolissime, che invece agiscono in tutt’altro modo e continuano ad avere un mercato, anche se marginale, ma che è in crescita ed è un fenomeno interessante.