HipHop skillz

La maturità

30 anniPuò capitare di trovarsi a contatto con giovani, di età compresa tra i 14 e i 18, che pur ascoltando il rap non hanno modo di andare oltre le tre o quattro nozioni di base del loro tempo. Questo non perché abbiano scelto di ascoltare Emis Killa e Fedez, ma perché privi per necessità di internet (e dunque di youtube), di tempo per andare a vedere concerti, comprare dischi o di informarsi in qualunque altro modo. Può capitare che questi ragazzi siano detenuti all’interno di un Istituto Penale Minorile, e che chi scrive abbia avuto modo di partecipare a laboratori musicali – nel suddetto I.P.M. – che prevedessero una parte dedicata all’ascolto.

L’approccio

I miei primi tentativi sono stati fruttuosi, nel senso che c’è stato un certo grado di attenzione. Sono state rilevate delle differenze più o meno essenziali: tra suoni più grezzi ed altri più elaborati; tra un certo “stile” di marca italiana e una certa – generica – patina americana; tra cose di venticinque anni fa e prodotti degli anni Duemila. Gli ascoltatori si sono resi conto di conoscere già molto di quello che veniva propinato loro: da Snoop Dogg, per dire, ad Aspettando il Sole, il passo è stato breve. Decisamente minore la ricettività su Mos Def o su Grand Master Flash, ma anche sul giovane Fibra o sui Sangue Misto in generale. Quindi mi sono preso la libertà di concentrarmi su artisti italiani, perché mio bacino di riferimento.

Non sono rimasto sorpreso di reazioni piuttosto fredde riservate ai Colle o agli Assalti (in altri casi mi è dispiaciuto un po’, ma tant’è). Sono rimasto, invece, sorpresissimo della presa che hanno avuto un certo Inoki degli inizi o Lou X. Il passo successivo è stato quello di andare a parare su artisti nel pieno della loro attività. E siccome c’era anche un certo margine di manovra, e di scelta personale basata di fatto sui gusti, la selezione si è alla fine incentrata su artisti dell’underground. I due più apprezzati, per ragioni diverse, sono stati EGreen e Willie Peyote. Per me, nativo del 1985, il tutto ha assunto un significato quasi mistico (Peyote è classe 1985, Egreen nasce nel giugno 1984).

Perché sembrerà assurdo, ma pare ormai assodato che gli attuali trentenni abbiano trent’anni. E l’amara tautologia si ritrova, ribadita e declinata in modo personalissimo, in due album di recente uscita: Beats & Hate di EGreen e Educazione Sabauda, di Willie Peyote. Se un parallelismo tra i due prodotti è del tutto arbitrario, perché non bastano il comune “genere” di riferimento e l’età degli mc in questione, un ascolto combinato è sembrato far emergere dei punti di contatto piuttosto significativi. In generale si tratta, per la carriera di entrambi gli artisti, di un disco di grande importanza. Dunque mi sono permesso di portare all’attenzione dei ragazzi entrambi i lavori, per capire se e cosa potessero smuovere in questo pubblico decisamente atipico.


Funk Shui Project feat. EGreen

EGreen

beats & hate

Per quanto non sia mai il caso di fare biografie, mi stava a cuore che a questi due musicisti dalle molte sfaccettature si arrivasse attraverso un excursus riassuntivo. Non mi sono potuto esimere dal tubo, cercando di procedere per parallelismi. Altre avvertenze preliminari che mi sembravano necessarie: “scena” è concetto superato e del quale riempirsi la bocca il meno possibile; la querelle tra underground e mainstream è morta da un pezzo; sono bandite le espressioni “giro di boa”, “momento di svolta”, “bilancio” e “generazionale”, se no arriva Zerocalcare e ci spara col bazooka.Ho cercato di offrire una sintesi di quello che Egreen è stato finora, sostenendo che ha dato prova di essere, nell’ordine:

Kamal mi dice che di questo tipo si ricorda perché l’ha visto in un qualche video con Brain. Ibrahim conferma, ma dice che lui (Ibrahim) diventerà un rapper pure migliore di questo qua. Yassin ride, pensando a quanto beva, questo qua. Mi dice che secondo lui non fuma, o non fuma più, o non fuma più tanto come prima. Christian mi dice che gli piacciono le basi, in generale. I due fratelli Popescu ridono a ogni parolaccia, come pazzi. Marwan ha un rosario attorno al collo, e non capisce perché questo se la prenda con la religione. Però mi dice che spacca fra’, stai sereno.

Willie Peyote
educazione sabauda

Per quel che riguarda William Gugi Peyote, i punti salienti mi sembravano essere grosso modo questi:

Oussama è molto colpito dai testi, perché non si aspettava niente del genere. Ma dice anche che il fumo nero da Kabul glielo fa assaggiare lui, a questo tizio con gli occhialini. Certo è un po’ cattivo con Fedez, ma ci sta, lo capisce. Kamal non riesce a capire che cosa ci sia di strano, ma qualcosa di strano c’è sicuramente. Yassin pensa che Peyote faccia un po’ lo sborone, ma Oscar Carogna la sa tutta.

L’ascolto vero e proprio

Le due tracce d’apertura sono piaciute, perché diverse dal semplice ego-trip. Questa la sintesi dei ragazzi del’I.P.M.: succede di dover prendere delle decisioni; succede, in parallelo, di dover stare attenti a non sputtanarsi in due mosse. Uno la chiama Riepilogo 2015 per non lasciare spazio a dubbi; l’altro opta per portare il dramma con Peyote 451. Il tema della “coerenza” è presente in entrambi i lavori, ma assume tinte diverse, senza discostarsi però da quello che è stata, storicamente, la carriera dei due musicisti fino agli ultimissimi EP preparatori (appunto, I Spit 1.3 per E-Green; Quattro Sansimoni e un funerale per Peyote).

Coerenza

Per EGreen è un valore assoluto, perché vi sgama da quando gli stringete la mano; in questa direzione va vista l’azzeccatissima scelta del crowdfunding su Musicraiser. Vuole però anche dire che se Peyote sceglie di far confluire alcune barre alla sua maniera nell’“apertura alla Grignani”, una ragione ci sarà, e non è motivo di incoerenza (oltre a Santa Maradona c’è anche della gran chitarra, se è per questo). Al sottoscritto sembra di capire che aver fatto trenta comporta, più o meno per forza, fare trentuno e pure trentadue; nei ragazzi è emersa, invece, la consapevolezza della (effimera) durata del prodotto discografico: non si dimentichi che il mondo del lavoro è sempre dietro l’angolo (sia l’uno che l’altro hanno portato la camicia per necessità professionali) e che suonare di mestiere resta un privilegio. Dunque, per intanto, si produce. E per fortuna si va avanti, nel senso che si evolve.

Entrambi i lavori hanno una traccia-manifesto: ascolti più “difficili” per i miei ascoltatori, che alla fine hanno comunque apprezzato. Il pezzo più rappresentativo di Educazione Sabauda è senza dubbio l’Outfit Giusto: nulla da togliere a Peyote 451, ma è giusto rendere onore a un brano che rappresentava già la chicca di Quattro Sansimoni (con I really don’t like). Mi sia permesso dire che questa canzone, al di là del rap, mi rievoca Buscaglione: gran base (magistrale Parpaglione nell’ottima sessione fiati del disco) e finezze testuali di pregio, a partire dalla polemica anti-risvolto ai pantaloni. The Rockshow, di EGreen, è una canzone potentissima. Fantini non si tiene, e in questo caso vengono in mente, senza via d’uscita, i riff di Tom Morello. Si rende onore tanto alla musica quanto alla NBA: Jordan, Magic e Larry Johnson (quest’ultimo ignoto ai ragazzi); Max Cavalera, Jimmy Page, Dave Mustaine + inglese + bestemmia. A una certa età non basta più saper rappare, ma così va più che bene.

Featuring

Sui featuring i due album prendono vie distinte. Beats & Hate è l’album tutto di EGreen, in cui l’assenza di collaborazioni era già stata ampiamente preannunciata. La scelta nella scelta ha grandi vantaggi, permettendo a Gigi di esprimersi al suo meglio e spolverare il campionario. E ai ragazzi non è sembrato, devo dire, nulla di strano. Non manca nulla, da beat grandiosi agli strumenti di classica. A brani introspettivi come Sposato, 26 dicembre e Il grande freddo (il piano!) si combina la suggestione di un disco interamente in inglese, quasi inevitabile con Goddamn (un pezzo da carato), Heads Up e Shake ‘n’ Bake (“del tuo mc preferito”). Oppure: alle atmosfere cupe e al crescendo de La Paura si sommano un uso del francese accattivante e il ricorso a più tecniche. Questo per dire che i feat. torneranno, ma che per il momento dovevano essere accantonati.

Per Educazione Sabauda il discorso è diverso. È un Peyote per la prima volta collaborazionista, che riconosce a Tormento il proprio debito adolescenziale ottenendo, con un numero, che il Cellamaro canti in La scelta sbagliata. Non solo: spicca, oltre al nome di Paolito, quello di Ensi – anche lui torinese e ottantacinque, anche lui in realtà già noto ai ragazzi – in Nessuno è il mio signore. Firma il disco (batteria + telefonata registrata) anche Oscar, il padre di Willie. Per il resto, è ancora un Gugi testualmente mitico: si vedano Io non sono razzista ma... o Etichette; Interludio ricorda al contempo il Manuale del giovane nichilista e I really don’t like.

Trent’anni

Per chiudere: ai ragazzi sono sembrati due dischi rap e in questi termini li hanno recepiti. Si fuma a strafottere e si beve, ci sono di mezzo le donne e non è mai facile. Ci sono le metriche, il flow, le strumentali, ma hanno apprezzato soprattutto le tematiche. Quello che mi ha più impressionato – senza retorica sulla saggezza di chi è dietro-le-sbarre – è il fatto che mi abbiano detto che molti di questi discorsi sarebbero un po’ riduttivi. Che un conto è fare, un conto è parlarne. Che, anche in questo caso, ha ormai senso solo parlare di “musica”, come pure il fatto che il musicista è qui più che mai faber fortunae suae. Se EGreen e Peyote sono per vocazione fabbri del proprio destino e autocritici alla morte e se, nel dubbio, i trenta si prendono per le corna, sappiano che ai miei (pazienti) ascoltatori sono piaciuti sul serio. E, aggiungo, non poco.



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