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La legge sull’uso personale di sostanze stupefacenti

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Lo stato attuale della giurisprudenza in materia di stupefacenti – ed in special modo in materia di cannabis – ha presentato un costante consolidamento dell’orientamento che esclude la punibilità della condotta di detenzione ad uso esclusivamente personale.

E’, ormai, dato pacifico quello per cui sia l’accusa a dovere dimostrare la destinazione della sostanza a fini di cessioni a terzi, mentre a carico dell’indagato/imputato incombe solo un onere di allegazione, cioè la facoltà di provare che lo stupefacente sarebbe stato destinato all’assunzione strettamente personale. Il quantitativo dello stupefacente non costituisce più criterio esclusivo per sostenere l’illiceità della detenzione, come recentemente affermato da Cass. Sez. III, sent. 13.01.2012, n. 919. che, addirittura, non ha ritenuto probante la destinazione allo spaccio, il quantitativo di gr. 500 di hashish. Il detentore potrà, infatti, dimostrare, attraverso attestazione concernenti le proprie capacità economiche o ricorrendo a qualsiasi altra prova logica o storica (assenza di strumenti per il confezionamento, od il peso o di sostanze eccipienti o da taglio) che lo stupefacente detenuto aveva una destinazione esclusivamente privata. L’uso, quindi, quale ipotesi successiva e in progressione rispetto alla detenzione, non costituisce, quindi, comportamento penalmente illecito, vale a dire che chi detenga per sé o faccia uso di droghe non potrà essere sottoposto a procedimenti penali. Tali condotte possono rientrare – al più – nella previsione dell’art. 75 e segg. dpr 309/90, che regola un procedimento di natura amministrativo, che si svolge con la convocazione dell’interessato dinanzi agli uffici Prefettizi. Qualsiasi altra condotta che presupponga un passaggio di droga da un soggetto ad altro – a qualunque titolo – rientrerà nella nozione di spaccio. Analogamente alla detenzione ad uso personale, la giurisprudenza con una recente sentenza [Corte Cass. Sez. VI 26 gennaio – 2 marzo 2011, n. 8366, in www.altalex.com] ha ritenuto che il cd. uso di gruppo non rientri nel novero delle condotte che possano costituire reato, ai sensi dell’art. 73 dpr 309/90. Questa sentenza è in linea con una giurisprudenza che ha, ad oggi, individuato al fine di meglio descrivere l’istituto in parola una serie di elementi.

Essi si identificano:

– nell’accordo preventivo fra tutti coloro che sono interessati all’acquisto,
– nella certezza (sul piano identificativo) dei membri del gruppo, non potendosi certo surrettiziamente omettere di stabilire la consistenza numerica dello stesso, creando un effetto di indebita elasticizzazione ampliativa della attività partecipativa,
– nella circostanza che il soggetto, che operi quale mandatario degli altri, faccia anch’egli parte del gruppo degli assuntori (l’estraneità di questo soggetto al nucleo degli assuntori qualificherebbe la di lui condotta come vera e propria cessione penalmente rilevante),
– nella considerazione che non si deve ravvisare una pluralità di passaggi, in quanto l’acquisizione deve avvenire da parte del gruppo direttamente, tramite il mandatario, cioè la persona incaricata dell’acquisto.

La univocità di questi parametri, permette, quindi, di affermare che, in carenza anche di un solo di essi la scriminante dell’acquisto di gruppo per uso personale non deve operare.

 



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