La Ketamina cura la depressione? I sorprendenti risultati di una ricerca scientifica
La ketamina come farmaco efficace nella cura della depressione, è quanto propone uno studio effettuato presso il dipartimento di neuroscienze dell’Università di Auckland, in Nuova Zelanda. La ricerca, condotta da un team di ricercatori guidato dal professor Suresh Daniel Muthukumaraswamy, non è la prima condotta in questo senso, ma anzi conferma e rafforza le analoghe conclusioni che erano state raggiunte da uno studio inglese, effettuato dalla Oxford Healt NHS Foundation lo scorso anno.
ANTIDEPRESSIVA GRAZIE ALL’AZIONE NEURONALE. Secondo la ricerca, i soggetti colpiti da depressione, a livello neuronale, sono identificabili a causa di una interconnessione delle due parti del circuito frontoparietale del cervello, le quali si attivano eccessivamente non rispettando gli standard temporali e andando oltre le abituali linee di connessione. La ketamina agirebbe invece interrompendo questo eccesso di connettività, ed a questa sua azione sul circuito frontoparietale sarebbe dovuta la sua potenziale efficacia sulle sindromi depressive. Secondo i ricercatori di Auckland la ketamina potrebbe rivelarsi migliore di altre sostanze utilizzate per la cura della depressione grazie alla sua azione molto veloce, la quale la renderebbe un ottimo farmaco nella prima fase delle terapie.
GIA’ UTILIZZATA NEL MONDO COME ANESTETICO. D’altra parte – lungi dal poter essere considerata solo una droga – la ketamina è già una sostanza fondamentale per la medicina, essendo largamente utilizzata come anestetico d’emergenza, specialmente nei paesi poveri grazie al fatto che essendo stata scoperta negli anni ’60 il suo brevetto è scaduto e quindi è producibile a prezzi accessibili. Inoltre, trattandosi di un farmaco liquido, la ketamina può essere facilmente trasportata, e la sua particolare azione sul cervello (dissociativa anziché sedativa) permette inoltre di operare un paziente da sveglio; caratteristiche che la rendono indispensabile nelle zone di conflitto. Ora la scoperta dei ricercatori di Auckland potrebbe aprire nuove strade di utilizzo positivo per questa “droga”, che a causa di decenni di proibizionismo fino ad oggi non è stata studiata approfonditamente in tutte le sue potenzialità mediche. Un atteggiamento che prosegue anche ai giorni nostri, visto che all’Onu diversi paesi (Cina in testa) ne hanno recentemente chiesto la messa al bando totale.