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La green economy continua a crescere, ma sulla pelle dei bambini

La green economy continua a crescere, ma sulla pelle dei bambiniLa chiamano “economia verde”, la bandiera del futuro dell’umanità. Energie meno inquinanti, spazio alla natura… Sarà, ma provate a raccontarlo alle centinaia di migliaia di disperati, soprattutto bambini, che rischiano la vita e la salute, in condizioni di semi schiavitù in Repubblica del Congo per renderla possibile.

Sono loro a fornire il 10-15% per cento della produzione mondiale di cobalto, il minerale fondamentale per le batterie delle macchine elettriche, ma anche dei nostri tablet e telefonini. Grandissime aziende che sono ai primi posti dei listini di borsa si arricchiscono grazie al loro sudore e alla loro fatica per sopravvivere. Molte di loro non collaborano a rendere trasparente ed umano il ciclo di produzione di questo minerale.

Amnesty international denuncia a chiare lettere il fenomeno e fa i nomi di chi non soddisfa i minimi requisiti di trasparenza sui propri approvvigionamenti. Innanzitutto Renault e Daimler. Poi Microsoft, Lenovo, Huawei, Samsung e Apple.

La green economy continua a crescere, ma sulla pelle dei bambiniGli operai lavorano con strumenti rudimentali e senza la minima protezione: non dispongono di tute, guanti e mascherine per proteggere le vie respiratorie e la pelle. Nemmeno scarpe o elmetti. I minatori scavano profonde gallerie dove sono frequenti gli incidenti, e respirano polveri che danneggiano i polmoni in modo permanente. Solo nel periodo tra settembre 2014 e dicembre 2015, almeno 80 persone sono rimaste uccise nei tunnel. Questo è quanto ha denunciato Amnesty International in un recente rapporto.

Alcuni bambini hanno riferito ad Amnesty International che la loro giornata lavorativa arriva a 12 ore per uno o due dollari al giorno. Estraggono il cobalto che poi viene esportato in Cina e Corea del Sud dove tre aziende (la Ningbo Shanshan e la Tianjin Bamo in Cina, e la L&F Materials in Corea) si occupano di produrre i componenti per le batterie di tutto il mondo, o quasi.

Lo rivendono alle multinazionali, che senza fare alcuna domanda sui metodi di produzione e sul rispetto dei diritti umani e dei lavoratori rivendono il prodotto finale a noi. A nostra volta pronti a non fare alcuna domanda che possa turbare l’effimera felicità di avere acquistato l’ultimo modello di smartphone a prezzo conveniente.
La green economy continua a crescere, ma sulla pelle dei bambini



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