La gente riflette mentre si diverte
PH: Tommaso Gesuato
Dal 22 Gennaio è fuori “StereoTelling“, l’album che segna il ritorno di Kiave dopo tre anni di silenzio discografico (disponibile in copia fisica e digitale qui). Nel frattempo il rap italiano si è evoluto velocemente e il rapper cosentino ha vissuto direttamente la strada, con laboratori di rap nei licei e nelle carceri, incamerando sensazioni e storie per il suo nuovo disco, che persegue nel rituale solco: Hip Hop fatto di messaggi, storytelling, profondità testuale – con un ferreo spirito underground. Con lui abbiamo discusso del momento del rap italiano, di Kendrick Lamar e buoni esempi per i giovani, di politica e di storytelling. Tutto qui:
++ “StereoTelling” arriva tre anni dopo il precedente. Un tempo che nell’attuale rap italiano vale un paio di ere geologiche. È successo di tutto, davvero. Kiave dove è stato?
“Solo per cambiare il mondo” mi aveva completamente svuotato. Allora ho preferito vivermi tante cose pur di incamerare per scrivere il nuovo disco. Ho ascoltato molti dischi usciti in questi anni – alcuni che manco vi immaginate! – e ho fatto sì che l’Hip Hop fosse uno stimolo di creatività, non un limite. Ho studiato molto l’impostazione vocale, perché notavo che chi non era del sud aveva problemi ad ascoltarmi. Senza staccarmi dalla mia cadenza, chiaramente.
++ Hai investito su te stesso, insomma.
Ho studiato tanto la musica. Ho investito i miei soldi studiando canto e suonando la tastiera. Inoltre è nato lo studio Macro Beats a Milano, dunque vedo creare quotidianamente i miei soci: qui nasce l’evoluzione del mio disco. Ho ascoltato “StereoTelling” mesi dopo averlo finito e ho sentito un Kiave più tranquillo, più sicuro.
++ Probabilmente perché uno come te non ha la smania di uscire con un disco all’anno, né probabilmente la “facilità” di scrittura per farlo.
Dipende che età hai, innanzitutto. È fisiologico che, grazie all’evoluzione e a i mezzi di adesso, i ragazzi di oggi siano più bravi rispetto a noi quando avevamo la loro età. Inoltre, arrivi a 35 anni che hai già scritto e parlato di tante cose, ché trovarne nuove o trattare meglio quelle già scritte non è molto semplice. Mi sono dovuto creare i miei spazi e ho impiegato tempo.
“Lasciami Sbagliare” prodotta da Iamseife
++ Quando esce un tuo disco sappiamo già cosa aspettarci: profondità nei testi e nelle tematiche e un certo spirito underground. Quanto è un pregio e quanto può essere un limite questa, diciamo, mancanza di sorprese?
Con “StereoTelling” ho cercato di sfatare questo mito, ma so che non può bastare un solo disco. Già il singolo ha un po’ spiazzato, devo dire, volevo dare quest’idea di maturità e tranquillità. Può essere vista come una scelta, sicuro, ma io faccio questo perché so fare questo. In America hanno dimostrato che si può portare l’Hip Hop ad un altro livello di sonorità: nel piccolo di “StereoTelling” ci sono un sacco di sfumature, di fiati, di melodie che spero si notino, alla lunga. Di questa “sicurezza” delle persone mi fa paura rimanere fermo: si cresce, si cambia. La coerenza è un’altra cosa.
Mi faccio il culo per stare in strada.
E farlo a 34 anni è una grossa responsabilità
++ Parlavi di Kendrick Lamar o sbaglio?
Certo! E anzi, ti dico che “To Pimp a Butterfly” è il disco migliore degli ultimi venti anni!
++ Qua la mano, io ho scritto che Kendrick è il rapper più importante di sempre. Tra le tante, per il suo messaggio, arrivato alla Casa Bianca, dunque più in alto possibile. E in Italia che succede?
In Italia è nuova l’idea di sensibilizzare i ragazzi contro le discriminazioni con la musica. In America c’è una maturità diversa, si fa da trenta anni. Alla gente arriva che Obama ha ascoltato le critiche di un ragazzo nero di strada, mentre qui ci sono politici che non sanno cosa cazzo vi succeda in strada. Kendrick ha portato la strada ad un livello superiore e propone chiaramente soluzioni: non è il solito rap che si limita a criticare. La musica è un ottimo mezzo per cambiare le cose, ma puoi farlo cambiando innanzitutto il tuo quotidiano.
++ Tu come pensi di farlo?
Io mi sono scontrato con la censura e con muri invalicabili. Non ho rinunciato, ma ho provato a cambiare. Mi faccio il culo per parlare alla gente, per fare laboratori (tra cui Potere alle Parole, ndr), per andare nelle carceri. Per stare in strada. A 34 anni stare in strada non è come farlo da diciottenne, hai molte responsabilità in più.
Nel rap italiano c’è bisogno
di più esempi e meno simboli
++ Scusami se ci ritorno, ma nell’incontro alla Casa Bianca, Kendrick e Obama hanno parlato di quanto siano importanti i buoni esempi per i giovani. Voi rapper lo siete, in questo momento storico?
Posso raccontarti una storia? Forse è un po’ noiosa…
++ Macché, siamo qui per questo.
Io ho pensato di essere un simbolo per qualcuno, tempo fa, l’ho scritto anche nel disco precedente. Poi ho incontrato Rocco Mangiardi, un collaboratore di giustizia. Uno che ha combattuto la ‘ndrangheta facendo nomi e cognomi. Dalla sua denuncia è partito un maxi-processo che ha smantellato alcune ‘ndrine di Lamezia. Adesso continua a vivere in Calabria, sotto scorta. Quando l’ho conosciuto, gli ho detto della mia esigenza di voler cambiare qualcosa, dei miei laboratori. Lui mi ha consigliato di capire la differenza tra simbolo ed esempio: il simbolo è uno messo lì, accettato per sempre per come è. L’esempio deve quotidianamente rompersi il culo e avere una responsabilità continua nei confronti di chi lo ascolta.
++ E nel rap italiano, oggi, ci sono più simboli che esempi?
Io credo che per avere la coscienza pulita devi sporcarti le mani, proporre soluzioni. Devi stare per strada e toccare con mano le situazioni. Nel rap italiano di adesso ci sono più simboli che esempi, senza dubbio. Rocco ha cambiato le cose, col suo esempio: da allora la gente ha trovato il coraggio per denunciare la ‘ndrangheta.
In Italia manca la curiosità di capire
come, dove e perché è nato l’Hip Hop
++ Il coraggio che forse manca al rap italiano. Non si spiegherebbero rapper politicamente populisti e generici. E pure qualche invasato di destra…
C’è tanta confusione. Generalmente si vede la politica come una rottura di coglioni e il populismo è sempre la via più facile. Se uno fa rap si presuppone che conosca un po’ di storia della cultura Hip Hop: essere rapper del M5S è una contraddizione, ma un rapper di destra è inammissibile.
++ Ci sono rapper di Lega Nord lì fuori, come è possibile?
Credo che insultare Salvini rischi di fare il suo gioco. Invece invece lui va isolato e dimenticato. Non è un nemico da sottovalutare: le sue idee sono talmente marce che facendo il giro rischiano di passare per idee intelligenti. Assurdo. In Italia sta mancando tra i giovani la curiosità di capire cosa ha spinto gli originatori a rappare, a ballare, a dipingere. Come, perché e dove è nata questa cultura. Ormai chi ascolta è visto solo come quello che caccia i soldi…
++ Se continuiamo ci dicono che siamo noiosi e puristi, quindi torniamo al disco: “StereoTelling” ha forse definitivamente messo da parte la tua componente punchliner/freestyler.
Forse proprio perché faccio tanto freestyle e mi basta farlo fuori dallo studio. Il disco deve dire qualcosa. Ho 34 anni, sono meridionale e calabrese: non posso tenermi dentro tante cose.
++ E, onorato anche dal titolo, lo hai fatto tramite lo storytelling, che hai dimostrato essere una forma di scrittura sempre molto versatile. Dai drammi celati dietro la quotidianità, all’amore, al divertissement. Ci sono tante storie in questo disco.
Sono un grande appassionato di serie tv, di racconti e di libri. Ho cercato di studiare prima la struttura della storia, poi l’interpretazione da dare, cercando anche di sorprendere.
++ Come quando parli di stupro, in “Storia di un impiegato”. Mi ha spiazzato in effetti.
Ecco, volevo che accadesse quello. Volevo si capisse che lui non è una bella persona, non è una vittima, è una persona con problemi a relazionarsi con una azienda altrettanto problematica. E che ha avuto una educazione difficile. Ho creato prima una struttura e poi l’ho sviluppata.
++ Dopo aver ascoltato il singolo, mi sono chiesto quanto è difficile ammettere la responsabilità dei propri errori. Devo pensare che negli ambienti musicali dev’essere proprio dura…
Io vivo questo come se dovesse finire tutto domani. Credo che sia fondamentale vivere e assorbire le paure, così da arrivare al punto di non averne. In “Lasciami sbagliare” mi chiedo perché non ammettere i propri sbagli, ma soprattutto perché pensare che sia sbagliato sbagliare. Io mi sento responsabile di tutte le mie scelte artistiche, che gravano in primis su di me e poi su una serie di persone che investono in me consci che questi siano i presupposti. Perché dovrei aver paura di sbagliare?
++ Infine in “Domande sbagliate” c’è la tua storia, invece.
Sì e sono contento di quello che ho raccontato. Sono arrivato a 34 anni consapevole di avere un pubblico non particolarmente giovane, ma mi sono rotto il cazzo delle punchline e dell’autocelebrazione in un disco. Sono arrivato a questo disco attraversando l’inferno, ma sono soddisfatto di ciò che è venuto fuori.