La Ganja che visse due volte
“Già solo il colore… Sballa!”
Quando a fine ottobre si andò a trovarla, colmi di vergogna per aver seriamente rischiato di perderla, ci trovammo davvero in imbarazzo, perché a giudicare dalle tonalità violacee delle sue foglie, sembrava di plastica, artefatta, quasi finta talmente era surreale quel viola intenso, quasi cianotico.
Era Texada, strain “rubato” anni prima da visceri esseri che nulla stima generano agli amanti del mondo cannabico.
Ma di natura caparbia e tenace deve essere la mente del “coltivatore diretto”, che si approccia a tali specie vegetali. E mai deve arrendersi chi, spinto dalla curiosità e dai propri principi, subisce sconfitte in piccole battaglie di poco conto.
Fu cosi che dopo del tempo, tornò a risuonare nelle orecchie di chi vi scrive il nome altisonante, rotondo e ridondante di Texada Timewarp. Ed anche ora è impossibile il non pronunciarlo con fare Gasmaniano, alla Brancaleonesca maniera, senza provare il brivido della prima guerrilla.
Scegliere Texada significa anche avere un posto ben preciso dove coltivare. Non tanto per difficoltà innegabili nel mantenerla in condizioni non ottimali, ma soprattutto per il mimetismo ambientale quasi impossibile da trovare. Immaginate le signore nelle foto immerse in un oceano di verde/marrone della montagna, ad inizio autunno: come un faro in mezzo al mare!
Ovvio che, viste le sue origini canadesi, questo strain ben si confonderebbe tra gli aceri e i rovi di fine autunno. Colori carichi di tonalità che vanno dall’arancio carico fino, appunto, al viola dei rovi oramai pronti a passar l’inverno. In quei luoghi, semplicemente rientrerebbe nei colori dell’ambiente naturale; alle nostre latitudini invece aceri e rovi risultano più rari e circoscritti a piccole aree del Paese.
In sostanza, il continuo pensiero portò dei semi in queste mani, come se il destino stesse consegnando la seconda chance, segno evidente che spesso gli incontri nella vita si compiono nei momenti in cui siamo più pronti ad accettarli, né prima, né dopo.
Studiando (impossibile approntare una coltura senza cultura), scoprii che erano dei semi F5, stabilizzati dopo 5 anni di incroci, dalla Next Generation.
Ma a vantaggio della disfatta vi erano diversi fattori: buche scavate nel tufo, (che invece furono la salvezza nelle giornate più calde a causa della permeabilità di questo tipo di terreno), forti gelate mattutine e la solita frotta di animali, cacciatori e pescatori.
Ma ad ottobre/novembre, tra i rovi sarebbe stato impossibile notarla tanto era mimetizzata nell’ambiente ostico di un bosco non tagliato da due anni.
Farla asciugare a Novembre fu impresa ardua, ma cantine costruite da vetusti saggi riescono stagionar salami e prosciutti e con qualche accortezza anche erbaggi e così, dopo circa 20 giorni di grotta e altrettanti di barattolo, potemmo saggiare quello che oramai era già mito prima di compier gesta eroiche.
Limone limone ed ancora limone, sia all’olfatto che al palato. High che sale piano ma prepotente come se nulla potesse fermarlo. Non cadete nel vortice della convinzione che sia incontrollabile o l’ansia dominerà la vostra testa. Per mesi la donzella sollazzò amici ed amiche alle quali la storia di Texada e del destino che ci fece incontrare due volte, andava sempre sistematicamente raccontata prima. Nell’atto del fumare, si era immersi nella magia della storia, dell’unico, dell’irripetibile. Il suo colore viola, diventato nero dopo la concia donava un alone di mistero ed il fascino del mito. Tanto che Uncle Paul (Zi’ Paolo, purtroppo non più tra noi da pochi giorni) appena la vide disse: “A Psyco, già solo il colore… Sballa!”
Cav. Psycogreen