La Francia vuole vietare di filmare i poliziotti in azione. La gente non ci sta
Se non sapessimo cosa sta accadendo in Francia, penseremmo a un film distopico, o ad un regime dittatoriale di quelli che i media dipingono sempre come i cattivoni del mondo. E invece siamo nel paese che “libertà e uguaglianza” le ha inventate. E guai a togliere a Macron il piacere di riempirsi la bocca di questa parola, quando si tratta di impartire lezioni ad Erdogan sulla libertà di espressione e sulla democrazia. Questo è il paese della libertà, in cui si è liberi di disegnare le parti intime di Maometto, ma si rischierà il carcere se si osa puntare un cellulare contro i poliziotti che potranno continuare ad agire in tutta impunità.
Zelante nel rivendicarsi democratico e liberale, il governo Macron sta conducendo una repressione sistematica senza precedenti contro qualsiasi forma di manifestazione di dissenso, rendendo evidente lo scivolamento verso una deriva autoritaria sempre più degna di paragoni coi governi turco e ungherese, con un accento securitario manco si trattasse della Cina o della Corea del Nord.
Il giorno dopo gli attentati, per cavalcare l’onda emotiva e strumentalizzare i fatti, il Ministro dell’educazione ha attaccato le università, dove si anniderebbero i germi dell’islamo-gauchismo (sinistra che difenderebbe l’islam radicale). Queste minacce hanno scatenato una reazione solo nel mondo della sinistra e della ricerca universitaria. Quello che però ha scatenato l’indignazione di molti francesi, persino nella maggioranza di governo, è l’ultima trovata in tema securitario e si chiama legge sulla “sicurezza globale”. Ed è ovvio che il momento migliore per farla passare siano i giorni che seguono degli attentati terroristici e una pandemia, anche se con il Covid o coi terroristi, questa legge non ha nulla a che fare.
Oltre a pene severe per chi filma i poliziotti in azione, è prevista la privatizzazione dei servizi di ordine pubblico, attraverso il loro subappalto e l’uso di droni per la sorveglianza pubblica. In alcune città sono già presenti sistemi di riconoscimento facciale.
Appare evidente che la necessità non è quella di contrastare il terrorismo o di garantire la sicurezza del paese, quanto quella di contrastare le scomodissime manifestazioni di dissenso iniziate coi Gilet Gialli e continuate durante i lockdown, e perché no, en passant, di applicare persino all’ordine pubblico i dettami della privatizzazione e del neoliberismo.
Il sospetto che si tratti di una mossa per lasciare impunite le violenze poliziesche e imbavagliare il giornalismo (professionista e non), al fine di imporre le scellerate politiche impopolari e antipopolari, è dato proprio dalla tempistica e dal contesto delle fortissime tensioni sociali che infiammano il paese e che hanno provocato non pochi grattacapi al presidente Macron, che ha dovuto cambiare Ministro dell’Interno. Ma il sospetto diventa certezza se l’obiettivo della legge è proprio quello di eliminare il mezzo più diffuso di denuncia degli eccessi muscolari della polizia: il cellulare e la telecamera.
Grazie soprattutto all’uso delle immagini dei cellulari di semplici cittadini e delle telecamere dei giornalisti negli ultimi mesi siamo venuti a conoscenza che la polizia ha represso nel sangue molte manifestazioni, ucciso Cedric Chauviat in circostanze simili a quelle di George Floyd, accecato decine di persone, staccato mani, ferito alla testa diverse centinaia (tra cui l’inoffensiva Genevieve Legay), usato del gas, fatto inginocchiare studenti liceali, arrestato dei giornalisti.
Tutto questo è stato raccolto da un documentario di David Drufesne: Un pays qui se tient sage (Un paese che si comporta bene, che sta buono) uscito il 30 settembre 2020 in Francia.
L’ultima vicenda di questa settimana riguarda l’aggressione brutale subita da un produttore musicale parigino, che per 13 minuti è stato massacrato senza motivo. Questa scena è stata filmata dalle telecamere del negozio ed ha causato non pochi imbarazzi ai vertici della polizia e del governo.
L’Onu stessa ha denunciato un uso sproporzionato della violenza di armi non convenzionali, ed ha richiamato la Francia per questo progetto di legge che è stato approvato in prima lettura il 24 novembre. E proprio la scelta dell’iter legislativo impiegato contribuisce ad alimentare la malafede nelle intenzioni governative. Sono già noti i tentativi di sfruttare un sistema costituzionale particolarmente lacunoso in quanto a strumenti di controllo democratico e un utilizzo sfrontato dello stato di emergenza. La proposta di legge è stata infatti presentata dal gruppo parlamentare della République en Marche (il partito di Macron) e non dal governo, in modo da non dovere passare al vaglio del Conseil d’Etat.
E se persino il presidente della Corte Costituzionale francese, organo molto meno indipendente dal governo rispetto al corrispondente organo italiano, si è espresso ricordando che lo stato di diritto e la libertà di stampa devono essere garantiti, allora la situazione è molto più seria e delicata di quello che già appare.
Almeno mezzo milione di francesi secondo gli organizzatori sono scesi in piazza questo sabato per percorrere la “Marcia per le libertà” ; risulta tuttavia impossibile stabilire quanto queste vicende rimarranno impresse nella memoria collettiva e quanto possano costituire un esempio per le altre società europee. Sembra di sentire già la tenera ingenuità di chi nel 2022 chiederà di votare Macron contro la Le Pen al secondo turno delle future presidenziali e invocare il famoso “fronte repubblicano” di cui si sono serviti gli ultimi presidenti francesi. Sarebbe questa l’alternativa alla destra estrema?
D’altronde Macron cerca consenso proprio tra gli elettori alla sua destra, attraverso un uso brutale e “legittimo” del monopolio della violenza contro i manifestanti ma anche contro i migranti che ultimamente hanno cercato riparo nella capitale.
Ma quanto è violenta questa libertà del paese che sta incarnando in occidente la versione neoliberale dell’incubo orwelliano, in cui a essere sacrificabili sono le identità dei volti dei cittadini in nome della sicurezza, del volto di Allah in nome della libertà di espressione, ma non quelle sacre dei poliziotti pretoriani di un potere impopolare?
Fonte: Pressenza