Contro-informazione

La favola dell’Occidente liberatore

La favola dell'Occidente liberatore

Davanti alle immagini di caos e disperazione, di panico e guerra, che arrivano dall’Afghanistan, dove dallo scorso agosto i talebani hanno ripreso il controllo del Paese, si stanno spendendo tante parole. Ci si domanda soprattutto di chi siano le responsabilità e sotto accusa finiscono inevitabilmente gli Usa, ma è l’Occidente tutto a essere chiamato in causa.

Mentre le analisi si accavallano, tornano illuminanti le riflessioni di Tiziano Terzani, grande giornalista e scrittore, che ben conosceva l’Asia e Kabul. In una lunga lettera intitolata “Il Sultano e San Francesco” pubblicata sul Corriere della Sera rispondeva così alla collega Fallaci in riferimento alle dure posizioni della giornalista dopo l’attentato alle Torri Gemelle.

«A proposito del petrolio, Oriana, sono certo che anche tu avrai notato come, con tutto quel che si sta scrivendo e dicendo sull’Afghanistan, pochissimi fanno notare che il grande interesse per questo paese è legato al fatto d’essere il passaggio obbligato di qualsiasi conduttura intesa a portare le immense risorse di metano e petrolio dell’Asia Centrale verso il Pakistan, l’India e da lì nei paesi del Sud Est Asiatico. Il tutto senza dover passare dall’Iran.

Nessuno in questi giorni ha ricordato che, ancora nel 1997, due delegazioni degli orribili talebani sono state ricevute a Washington (anche al Dipartimento di Stato) per trattare di questa faccenda e che una grande azienda petrolifera americana, la Unocal, con la consulenza niente meno che di Henry Kissinger, si è impegnata col Turkmenistan a costruire quell’oleodotto attraverso l’Afghanistan. È dunque possibile che, dietro i discorsi sulla necessità di proteggere la libertà e la democrazia, l’imminente attacco contro l’Afghanistan nasconda anche altre considerazioni meno altisonanti, ma non meno determinanti».

Un’analisi che non può prescindere dalla sua premessa: «Il mondo ci sta cambiando attorno. Cambiamo allora il nostro modo di pensare, il nostro modo di stare al mondo. È una grande occasione. Non perdiamola: rimettiamo in discussione tutto, immaginiamoci un futuro diverso da quello che ci illudevamo d’aver davanti prima dell’11 settembre e soprattutto non arrendiamoci alla inevitabilità di nulla, tanto meno all’inevitabilità della guerra come strumento di giustizia o semplicemente di vendetta. Le guerre sono tutte terribiliUn’occasione che l’uomo evidentemente s’intestardisce a non cogliere.



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