La comunicazione (im)perfetta di San Patrignano

Se non fosse per l’impatto mediatico e sociale che hanno i comunicati di un’organizzazione ricca, potente e consolidata quale è la Comunità di San Patrignano, questa riflessione a margine della recente affermazione del Presidente Tinelli «Chi semina cannabis raccoglie eroina» non avrebbe ragione di esistere. Anche se la libertà di stampa è nel nostro Paese più formale che concreta, (oscilliamo tra il 77° ed il 44° posto a seconda delle fonti, ma anche nella migliore delle ipotesi siamo equiparati a Paesi del 3° mondo), fortunatamente vi è ancora qualche possibilità di contradditorio, seppur confinato in profili e canali che decisamente godono di minor spazio rispetto alle voci delle lobby con grossi mezzi a disposizione.
San Patrignano può sfoderare dati impressionanti sul recupero dei tossicodipendenti e da questo deriva la sua autorevolezza, confutare dati del genere in un Paese che non è mai stato in grado di affrontare il problema delle tossicodipendenze in modo strutturale, equivarrebbe a bestemmiare in chiesa per coloro che non conoscono il drammatico disagio che deriva dall’uso delle droghe. L’approfondimento di questi stessi dati potrebbe suggerire riflessioni differenti rispetto a quelle superficiali che scaturiscono dalla lettura frettolosa di un titolo, che per la maggior parte delle volte è l’unica cosa che ci ricordiamo dei giornali.
San Patrignano vive di finanziamenti pubblici e privati di grande entità e regge il proprio prestigio, per non usare il termine potere, sul dramma che investe le persone e le loro famiglie toccate dal problema. Se non vi fosse il problema delle tossicodipendenze, la Comunità di San Patrignano non avrebbe ragione di esistere e con lei scomparirebbero anche gli interessi che attorno ad essa gravitano.
San Patrignano produce vino, ha scuderie di cavalli da corsa, cibi biologici e ha un’infinità di altre attività che oggi fanno del presidio sulle colline romagnole un impero, retto sulla prestazione d’opera gratuita dei ragazzi lì che lavorano e che attraverso il lavoro cercano il legittimo riscatto da scelte sbagliate.
Forse anche altri, potendo godere delle stesse risorse e della medesima libertà di azione avrebbero ottenuto risultati simili.

Agli albori della sua storia San Patrignano non era il paradiso che oggi il sapiente e ottimo marketing della struttura oggi ci mostra. Il suo stesso fondatore, Vincenzo Muccioli (un uomo dal grande fiuto) ha passato guai giudiziari piuttosto seri. Gli va tuttavia riconosciuto il grande merito di essersi sapientemente inserito in uno “spazio di mercato” che allora nessuno occupava, perché mancavano quelle competenze che Muccioli, un personaggio naif, si è inventato.
Oggi San Patrignano è una corazzata impossibile da contraddire, con un ufficio stampa e delle connessioni che sa usare perfettamente, sa che tipo di comunicati diramare, che taglio dare, su quali canali privilegiati far circolare le informazioni. Lo scopo di tutto questo è garantirsi sopravvivenza, donazioni e fatturati.
Confutare i dati che nell’ultimo comunicato stampa diramato da San Patrignano riguardo alla trasformazione della cannabis light in stupefacente è un esercizio inutile, poiché i dati hanno certamente una base scientifica (chi dirama i comunicati non è certo un dilettate) ma non hanno una plausibilità logica ed entrare nel merito significherebbe legittimare affermazioni che hanno il solo scopo di difendere i propri interessi, come la maggior parte dell’informazione prodotta per scopi commerciali.
La storia della canapa ha radici ben più profonde di quelle di San Patrignano e dell’azione commerciale che attraverso i propri uffici stampa la comunità attua al solo scopo di colpire il proprio potenziale target.
