La coltivazione di due piante di cannabis non è reato: (piccolo) passo avanti della Cassazione
La sesta sezione penale della corte di Cassazione ha confermato l’assoluzione di un imputato accusato per la coltivazione di due piante di cannabis sul suo balcone. L’imputato, in prima battuta, era stato condannato dal tribunale di Sassari, ma il ricorso presentato in Cassazione ha posto fine alla sua vicenda giudiziaria, sancendone l’assoluzione in quanto il fatto non costituisce reato. Una sentenza interessante soprattutto per le motivazioni adottate, che potrebbero essere ricche di conseguenze per i prossimi processi per casi analoghi.
IL PRINCIPIO DI OFFENSIVITA’ DEL REATO. La sentenza della Cassazione (il testo completo è consultabile a questo link) si articola tutta intorno al principio della “offensività del reato” (cioè l’effettiva lesione del bene giuridico protetto, in questo caso la difesa sociale dalla diffusione degli stupefacenti) concludendo che nel caso in cui sia evidente il “conclamato uso esclusivamente personale e la minima entità della coltivazione tale da escludere la possibile diffusione delta sostanza producibile e/o l’ampliamento della coltivazione” non vi sia offensività in concreto. In particolare per giudicare l’opportunità di una condanna secondo la Cassazione si devono giudicare due fattori: se la coltivazione comporterà un aumento della disponibilità di droga sul mercato e se renderà prospettabile una ulteriore diffusione della sostanza: nel caso specifico i giudici hanno ritenuto non essere presenti nessuno tra questi due fattori, quindi hanno proceduto con l’assoluzione dell’imputato.
DECISIVA LA SCARSA QUANTITA’ DI THC CONTENUTO. Nel caso preso in esame dalla Cassazione la coltivazione era composta da “un vaso con due piantine (dell’altezza di 33 cm) di marijuana, la prima dalla quale potevano ricavarsi circa 750 mg di foglioline, con THC pari all’l,48 %, la seconda dalla quale potevano ricavarsi circa 500 mg di foglioline, con THC pari all’ 1,59%”. Quindi in entrambe la quantità di thc era nei fatti inferiore al limite stabilito per uso personale. Proprio questo fattore sembra essere stato decisivo per l’assoluzione. Secondo la sentenza, infatti, è proprio “la assoluta inconsistenza della coltivazione in questione che fa escludere che in concreto sia stata realizzata la lesione del bene tutelato dalla norma”.
CONSEGUENZE POSSIBILI DELLA SENTENZA. Se da una parte la sentenza va verso l’auspicabile direzione della non punibilità della piccola coltivazione, da verificare è sicuramente l’importanza data alla quantità di thc contenuto. In questo caso era particolarmente basso, e non è chiaro come si sarebbe comportata con un percentuale di thc superiore. Inoltre la sentenza ribadisce comunque il principio secondo il quale deve essere il giudice a valutare caso per caso l’offensività della condotta in questione, e che l’onere della prova “va ritenuto tendenzialmente a carico dell’imputato anche se è probabile che la condizione di inoffensività sia di immediata percezione”. Quindi deve essere la difesa a dimostrare che la coltivazione è ad uso esclusivamente personale. Ne consegue quindi che l’attività di coltivazione va comunque considerata come passibile di processo per spaccio, accusa dalla quale si può uscire indenni solo grazie al lavoro della difesa o, come in questo caso, arrivando sino in Cassazione.
IL COMMENTO DELL’AVVOCATO ZAINA. L’avvocato Carlo Alberto Zaina ha così commentato la sentenza: “A mio avviso deve essere valorizzato il rapporto fra effettiva destinazione al consumo personale della sostanza prodotta dalla coltivazione e la concreta offensività che una simile finalizzazione esprime. Poiché reputo che una dimostrata coltivazione ad uso personale costituisce l’esatto opposto di una produzione destinata ad un aumento dell’offerta di stupefacente sul mercato, la condotta tipica (la coltivazione) pur rispecchiando i parametri che la norma incriminatrice prevede per la sua punibilità, perde il suo carattere di antigiuridicità. Essa così, infatti, non crea, in realtà, quella situazione di attentato al bene giuridico tutelato (la difesa sociale dalla diffusione degli stupefacenti) che giustificherebbe la sanzionabilità dell’azione. Secondo l’avvocato si tratta comunque di una sentenza importante anche se, come sempre “la Cassazione si muove a piccoli passi”.