La coltivazione come pratica filosofica
Se avessi la possibilità di decidere quale esame dovrebbero sostenere le matricole universitarie per iniziare i loro studi filosofici, sarei orientato a scegliere un esame pratico che preveda la coltivazione di una pianta. Questo tipo di esame sarebbe importante perché rappresenterebbe l’incipit del loro percorso formativo: ovvero l’acquisizione di un punto di vista prospettico nei confronti della vita.
Occupandoci in prima persona della crescita del vegetale, osservandolo quotidianamente, cercando di capire il suo stato di salute, le sue esigenze, assisteremo inevitabilmente anche alla sua metamorfosi esistenziale: al suo nascere, crescere e morire. La pianta esemplifica la condizione dell’essere, ci consente pertanto di osservare l’essere da un punto di vista prospettico.
A mio avviso, qualsiasi fenomeno del mondo, qualsiasi problema, per essere compreso deve essere osservato da questa angolazione, non si può pensare di capire davvero qualcosa osservandola dall’interno, perché mancherebbe una visione di insieme, mancherebbe qualcosa per una comprensione integrale. Assistere alla nascita, crescita e dipartita della pianta, che è anche la nostra dipartita, ci aiuta a concepire la transitorietà esistenziale più come processo biologico naturale e meno come evento individuale inammissibile.
C’è da dire che anche prendersi cura di un animale potrebbe apparentemente offrire questa visione della vita, il problema però consiste nel fatto che nelle specie viventi non vegetali proviamo un diverso coinvolgimento emotivo durante l’evento della morte, in quanto assistiamo a manifestazioni espressive più simili alle nostre, per questo ci sentiamo maggiormente coinvolti come specie, perdendo la distanza che cerchiamo.
Si potrebbe obiettare che anche la morte delle piante potrebbe suscitare forti emozioni nelle persone particolarmente sensibili, bisogna ricordare però che con la pianta non percepiamo la dimensione emotiva. La sua sofferenza è biologica e naturale, priva di pathos, per questo può essere metafora della nostra condizione esistenziale ma non similitudine, ed è questa parziale diversità che ci consente di vederla in prospettiva, di osservarla attraverso il punto di vista naturale.
Se ci pensiamo, noi agiamo esattamente come se fossimo la natura durante tutto il ciclo di coltivazione, ciò accade soprattutto indoor in cui abbiamo la totale gestione della situazione: siamo noi la luce, le stagioni, la terra, il vento, l’acqua, perché siamo noi che possediamo un pieno controllo di questi parametri.
Tale prospettiva non è però una forma di esaltazione dell’uomo che assurge a Dio creatore, anzi è un esercizio di umiltà perché ci rendiamo conto che le nostre ambizioni, i nostri interessi, i nostri progetti, le cose importanti equivalgono a nulla nell’ottica naturale e che siamo solo ospiti di passaggio di un mondo che dobbiamo imparare a comprendere e rispettare, cercando di guardare dalla sua prospettiva per essere uomini migliori.
Di Giordano Proietti