La canapa al centro del “contratto dei contratti”

Chiaramente, a chi come me è nativo della Tuscia, non sfugge il nome di Bartolomeo D’Alviano, un condottiero di ventura nato ad Alviano (TR) nella bassa Umbria nel 1455 e unanimemente considerato uno dei maggiori condottieri di ventura del Rinascimento a cui un importante produttore di videogiochi ne ha dedicato uno diventato tra i più venduti nel mondo: è la serie Assassin’s Creed II. In pratica in questo sperduto paesino dell’Umbria che si affaccia sulla Media Valle del Tevere arrivano ogni anno migliaia di turisti che, tramite il videogioco, sono venuti a conoscenza di questo straordinario personaggio storico che, nel 1507 passò insieme con Niccolò II Orsini, conte di Pitigliano e suo cugino, al servizio della Repubblica di Venezia. Combattendo per la Serenissima, diventò il comandante supremo del suo esercito, tanto che nel 1508 sottomise l’armata imperiale di Massimiliano I d’Asburgo, guidata dal duca Enrico di Brunswick presso Valle di Cadore, alla Mauria e a Pontebba, conquistando il Cadore, Gorizia e Trieste. Anche Pordenone fu conquistata nel 1508, anno in cui fondò addirittura un’università, l’Accademia Liviana capace di raccogliere in pieno lo spirito di cambiamento radicale nell’arte, nel pensiero e nella filosofia portato dal “vento del Rinascimento”.

Ma come è possibile che Bartolomeo d’Alviano, contestualmente agli Orsini del Ramo di Castello avesse capito le immense possibilità della canapicoltura? Sicuramente era un “uomo illuminato”, un uomo che aveva a cuore, oltre alla sorte della Serenissima anche la Signoria di Alviano, quel luogo dove era nato in Umbria, luogo dove per il potassio e le zeoliti naturali presenti nei terreni vulcanici, la canapa veniva coltivata dal tempo degli Etruschi che qui ne portarono i primi semi dalla Scizia per supplire e sopravvivere a una mini era glaciale che si abbatté sull’Italia tra il 500 e il 350 a.C. Possiamo desumere che Bartolomeo, contestualmente al suo vice comandante in capo Giovan Corrado Orsini del Ramo di Castello di Bomarzo e Mugnano (due paesini dirimpettai o quasi ad Alviano ma sulla sponda laziale della Valle del Tevere Medio) giunto a Venezia per assumerne il comando del suo esercito, fosse entrato in una sorta di città del futuro in grado di letteralmente “macinare” milioni di ducati d’oro e che lo stesso Bartolomeo, oltre ad avere doti militari strategiche avesse anche un forte intuito commerciale, nell’idea di rendere ricche e prospere le sue Signorie in Umbria e quelle del suo vice comandante nel Lazio. Per questo chiese alla Serenissima Repubblica di Venezia, avendo sicuramente un forte potere contrattuale con la stessa, ottenuto con le sue vittorie sul campo, un contratto in esclusiva per la fornitura di manufatti di canapa, corde, vele, vestiario, armature in canapa multi pressata in strati ma anche canapulo e fibra per un valore di 300mila ducati d’oro all’anno. Visto che un ducato d’oro veneziano valeva il valore del suo peso esatto in oro, attualizzando la cifra si ottiene la ragguardevole somma di oltre 52 milioni di euro.
Quindi dobbiamo ammettere che la lungimiranza di Bartolomeo d’Alviano nel firmare questo “contratto dei contratti” in esclusiva con la Serenissima Repubblica di Venezia gli fece incassare cifre astronomiche per i tempi. Nel 2019, il settore della cannabis light in Italia, con 10mila addetti e 1500 imprese, ha fatturato in tutto 150 milioni di euro, mentre l’agricoltura biodinamica in Italia da sola ha fatturato nello stesso anno circa 348 miliardi di euro. Nel resto del mondo la canapicoltura è un settore trainante soprattutto nel comparto industriale. In Italia, la nazione che è prima per biodiversità nel mondo, il luogo dove la canapicoltura occidentale è nata 2500 anni fa, arriva ad esprimere un turnover da meno di 200 milioni di euro/anno. Diciamoci la verità: l’Italia esprime da sempre classi dirigenti con poche energie, una creatività molto modesta, scarsa lungimiranza, una buona dose di ignoranza condita di altrettanta prosopopea, soprattutto una mancanza cronica di professionalità. Diciamocelo pure, se il settore non si sviluppa come nel resto del mondo, se ad oggi non ha saputo fare la differenza, se dopo anni stiamo qui a combattere contro pregiudizi atavici, i motivi sono in gran parte qui nel Bel Paese nonostante gli sforzi di poche mosche bianche di buona volontà e di grandi capacità che, sfidando il conservatorismo e il misoneismo tipicamente italico e la superficialità tracotante della maggior parte della politica tentano l’impossibile per rovesciare la situazione a vantaggio di tutti.

Se, Covid permettendo, non appena si potrà tornare a viaggiare, organizzate un mini-tour turistico nella Bassa Umbria, destinazione il castello/Fortezza di Alviano, dove il sistema museale umbro e il comune di Alviano hanno saputo trasformare la fortezza in un Museo tematico dedicato ai condottieri di ventura Umbri del Rinascimento e alla civiltà contadina. Nel settore della civiltà contadina potrete ammirare gli antichi macchinari con cui in tempi antichi veniva stigliata la canapa (separazione tra il canapulo e la fibra), i telai sui quali venivano realizzati vestiti e vele e i rulli con cui venivano realizzate le pesanti corde in uso ancora oggi per le navi. Se poi vorrete completare il tour, attraversate il Tevere e andate a vedere le magnificenze del Parco dei Mostri di Bomarzo, dove per anni su commissione del Principe Vicino Orsini (figlio di Giovan Corrado) hanno lavorato i più grandi artisti del Rinascimento in un parco ermetico ed esoterico che all’epoca costò migliaia di ducati d’oro di cui oggi capiamo la provenienza.
Oggi nell’Alto Lazio e in Umbria si continuano a piantumare le specie monoculturali come le nocciole che, inutile negarcelo, producono un forte inquinamento e se confrontate con la canapicoltura producono una redditività e un turnover molto modesti. I Monti Cimini dove insistono più o meno 40mila ettari di nocciole esprime un turnover annuale da 400 milioni di euro. In pratica dai dati ufficiali la coricoltura rende 10mila euro ad ettaro mentre la canapicoltura da sola tra prodotto alimentare (olio e farina o pet food animale) e prodotto industriale rende al minimo 20mila euro ad ettaro senza considerare la rotazione con 44 diversi tipi di ortaggi autunnali/invernali a scelta che facilmente portano a una redditività di 30mila euro minimo all’anno, rispettando l’ecosistema, senza minimamente inquinare e aiutando la decarbonizzazione dell’Europa poiché un ettaro di canapa coltivata cattura la stessa quantità di C02 di ben 4 ettari di foresta pluviale.
a cura di Giovanni De Caro
Ingegnere, esperto di energia e ambiente, divulgatore e presidente dell’associazione Canapa Tuscia