Il khat: l’anfetamina naturale araba che si sta diffondendo in Italia
Fino a poco tempo fa quasi nessuno sapeva cosa fosse il khat, tanto meno tra le forze di polizia europee, che lo lasciavano passare dalle dogane confondendolo con il tè, l’hennè o qualche altro tipo di spezie nelle cui confezioni veniva nascosto. Ora i controlli si sono affinati e i dati sui sequestri iniziano a mostrare come si tratti di una sostanza in forte espansione sui mercati europei: all’aeroporto di Malpensa se ne sono sequestrati oltre mille chili negli ultimi tre mesi, mentre in Svizzera nell’aprile scorso se ne sono sequestrati 4,4 tonnellate in un colpo solo.
UN ANFETAMINICO NATURALE DIFFUSO DA SECOLI
Ma cos’è il khat? Con il nome khat (o qāt) si intendono le foglie della Catha edulis, pianta della famiglia delle Celastraceae, esteticamente simile al corbezzolo. Il suo uso è tradizionale ed ampiamente diffuso in Etiopia, Yemen, Somalia ed in diversi paesi del Corno d’Africa di tradizione araba. Si può consumare sciolto in infusi (il cosiddetto tè abissino) ma più spesso è semplicemente messo in bocca e masticato a lungo, con dosi da 20-25 foglie. Il suo effetto è stimolante, spesso paragonato alle anfetamine (seppur più blando), e provoca riduzione del senso di fatica, logorrea e mancanza di appetito, durando per 2-3 ore dopo la masticazione. Il suo uso storicamente è stato limitato ai paesi produttori, dove si consuma sotto forme di foglie fresche, che perdono il loro effetto psicotropo nel giro di un paio di giorni dalla raccolta. Ora in Europa sta venendo invece importato sotto forma di foglie essiccate, le quali durano più a lungo, ma comunque non oltre la settimana.
IN YEMEN 9 UOMINI SU 10 NE FANNO USO
Nei paesi dei quali la coltivazione è originaria il suo uso è considerabile tradizionale e di massa, storicamente alimentato dal fatto di non essere vietata dal Corano. In Yemen si stima che circa il 90% degli uomini e il 50% delle donne ne faccia uso. La sua diffusione è spiegabile anche con le implicazioni sociali del suo uso, il khat è infatti spesso immancabile nei momenti di conversazione, ed anche in pubblico si creano spesso assembramenti di persone che a gruppetti masticano khat. D’altra parte, l’uso e la coltivazione di questa sostanza, seppur formalmente illegali sono ampiamente tollerate nei paesi d’origine. Oltretutto, seppur largamente utilizzato, i danni sanitari del consumo non paiono particolarmente alti ed il consumo problematico, seppur esistente, è limitato.
VERSO UNA DIFFUSIONE SU SCALA EUROPEA?
Sui quotidiani italiani, sempre desiderosi di dare una definizione ad effetto, l’hanno subito ribattezzata la “droga dei poveri”, perché costa poco: circa 10-12 euro ogni 100 grammi. Viene spesso considerato come una nuova droga in Europa, ma in realtà il suo utilizzo è diffuso da ormai vent’anni tra le comunità di origine somala ed eritrea. Già nel 1998, per esempio, a Roma ne vennero sequestrati 260 chilogrammi. Quello che rimane difficile al momento è stabilire quanto sia in aumento la diffusione della sostanza in Europa, i cui trafficanti, secondo alcune analisi, stanno cercando di ampliarne il consumo anche tra i cittadini europei, scommettendo sul fatto che potrebbe, in parte, sostituire il consumo di anfetamina, visti i costi più bassi. Una prospettiva che, in puri termini di riduzione del danno, potrebbe essere anche auspicabile visti gli effetti collaterali molto minori.