Kento & The Voodoo Brothers – Radici (recensione)
Cinque anni di distanza dal precedente disco in veste solista, il tempo buono per dare un seguito altrettanto corposo e serio a “Sacco e Vanzetti”. Un album di Kento vuol dire un lavoro mai banale, la summa di una ricerca musicale, stilistica e culturale che viene perseguita dagli albori: “Radici” si presenta così, e gli ascolti non smentiscono le attese.
Partiamo dal titolo: Radici. Lo stesso dell’album che contiene quel capolavoro di “La locomotiva”, di Francesco Guccini. Le radici che vi ritroviamo sono quelle dell’hip hop dei pionieri, che si materializzano nelle citazioni di Public Enemy e Jeru the Damaja, ma anche nei migliori Roots per il compromesso tra rap di spessore e strumentazioni. Sono quelle territoriali, che lo legano alla città dai mille segreti, Reggio Calabria, e al sud di Peppino Impastato. Sono le radici di una quotidianità intrisa di bevute e compagni, delle storie dimenticate dei figli di Annibale. Infine, ma non meno importanti, le radici culturali e sociali fondanti lo spirito antagonista ed anticapitalista, che trovano il culmine nell’amarezza di Paolo Pietrangeli.
Coraggio: l’hashtag di “Radici”. Il coraggio di prendere una posizione netta in un genere che troppo spesso, ipocritamente, delega un compito che in realtà dovrebbe essere preminente. Il coraggio di schierarsi dalla parte degli sconfitti, dei migranti e dei bastardi. Il coraggio di ribadire che l’hip hop è una ritmica meticcia, e razzismi e aberrazioni musicali moderne non lo meritano. Il coraggio di dare vita ad un disco nuovo, che ponga sul gradino più alto delle priorità quello di avere un senso e un concetto intensi e spiccati, non la mera pretesa estetica fine a se stessa. “Io starei zitto se dovessi dire a vuoto, sai, ho cento testi brutti, ma nemmeno un verso innocuo“: Kento chiude il pugno e lo piazza sul grugno del metamessaggio del non-rap, con il talento di un rapper completo. A flow e contenuti, mescola ottime delivery ed una timbrica calda e rassicurante. E la doverosa personalità per non venire sopraffatto dai talentuosi strumenti che hanno composto la sua famiglia, i Voodoo Brothers.
Il rap ha, tre le altre, la peculiarità di non essere un monolite: le ultime ibridazioni e derive lo dimostrano ampiamente. Ma esse sono figlie, tocca ribadirlo, proprio del rap e dei valori forti nel lavoro di Kento. Che non si àncora a cliché e soluzioni rituali, ma che sa anche osare e in qualche modo rimettersi in gioco, in un disco completamente suonato, con rimandi puntuali a reggae, blues e jazz. In un periodo avaro di lavori come questi, ma più propenso a progetti estemporanei e facilmente interscambiabili, “Radici” dà la piena sensazione di un album che necessiti di ascolti reiterati per essere sviscerato e che, in particolare, possa rimanere nel tempo: può non piacere, insomma, ma pesa una tonnellata. “Radici” è puro, sagace, coraggioso, di uno spessore raro: in brani come “RC Confidential” e “Roots Music” e nelle alte collaborazioni con Havoc, Danno e Ice One, il suggello ad un ascolto obbligato, sul podio per il 2014.
________________