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Kendrick Lamar – Good Kid, M.A.A.D City (recensione)

Kendrick Lamar - Good Kid, M.A.A.D City (recensione)Sono nato e cresciuto a Milano, in piena periferia. Da quando sono bambino, ho sempre assistito alla mania del vantarsi di essere cresciuto in un determinato quartiere. Mi hanno sempre detto che se un giorno mi fossi fatto forte delle mie origini, avrei evitato sicuramente le botte, ottenendo una malsana forma di rispetto o di timore.
Sui tram, sui muri e nelle canzoni rap non è raro trovare inni al proprio quartiere. Anche i nostri rapper spesso lo hanno fatto, non devo certo insegnarvelo io (penso al buon Marra e la sua Ba-Ba-Barona). Tanti si sono sentiti un po’ gasati nel sentire strillare il proprio quartiere in “Roccia Music” e lo ammetto, per un secondo anche io.
Sei americano e nasci a Compton: 96 mila abitanti. E’ come se fossi chessò, di Sesto San Giovanni, e tutto il mondo conosce la tua città. La conoscono perché in quella città ci sono nati e cresciuti gli NWA di Dr Dre, Ice Cube e Easy-E e tutti i veri appassionati di hip hop hanno pompato almeno una volta “Straight Outta Compton”. La conosci perché ami come me Dj Quik e quindi adori “Jus Lyke Compton” e perché sai che a Compton c’è cresciuto The Game, c’è nato Suge Knight, c’è nato Coolio, c’è nato MC Eiht. Mi sono sempre immaginato quanto potesse gasarsi un ragazzino appassionato di Hip Hop, se fosse nato in quella città. Che non è esattamente come essere nato qui, con tutto il rispetto.
Kendrick Lamar è di Compton, ma questo c’entra poco col suo rap: lui non è un rapper westone, non è un blood, né un crips; anzi, è un MC moderno, talentuoso, elegante e tecnico, a tratti anche piuttosto commerciale. Da anni se ne parlava bene e tutti aspettavamo un suo disco ufficiale. Questo anche perchè il ragazzo è sotto l’ala protettiva di Dr Dre, che non si prendeva cura in toto di un rapper da prima che si appassionasse agli steroidi e ai deltoidi (a proposito: Andre, so che non leggerai e che te lo chiederanno in tanti, ma quaggiù stiamo ancora aspettando Detox).  In “The Art Of Rap”, Dre viene dipinto come estremamente esigente, come uno di quelli con i quali lavorare è estremamente complicato. Se è vero, i risultati si vedono, se si pensa all’elenco delle sue scoperte.
Una specie di predestinato: Kendrick a 8 anni ha avuto la fortuna di assistere alle riprese del video di California Love e prima dei 20 era già stato in tour e collaborato con The Game, rilasciato mixtape con la Top Dawg fino ad essere notato da Dr Dre a seguito di questo bellissimo pezzo.
Il disco si chiama “Good kid, m.A.A.d city” e ha preso ovunque recensioni meravigliose. Ha i featuring di gente come Drake, Mc Eiht e lo stesso Dre. E’uno dei lavori migliori dell’anno, ha produzioni variegate e un’atmosfera che ti rapisce e ti accompagna per i ricordi, spesso anche molto semplici, di un adolescenza (il m.A.A.d del titolo sta proprio per “My Angry Adolescence Divided”) distorta di un ragazzo di soli 25 anni.
Kendrick Lamar è uno dei rapper più promettenti sulla piazza, un ragazzo che sa fare musica e che è ben accompagnato e supervisionato. Questo disco finisce senza che te ne rendi conto, tutto senza alterare quell’atmosfera lenta e sognante, senza lasciarti saltare un pezzo; ti ci innamori di quei ritornelli un po’ scordati e del suo flow che ti rimbomba di parole. L’album parte straordinariamente bene con il titolo dell’anno: “Bitch Dan’t Kill My Vibe”, pezzo che nientepopodimenoche Lady Gaga ha deciso di tributare, durante il suo tour in Sudamerica, rifacendone i ritornelli senza modificarne la straordinaria purezza. Album che si chiude ancora meglio, con il banger “Compton” (che si aggiunge ai già tanti pezzi tributati a questa città), su un beat di un Just Blaze in grandissima forma, che sul finale si abbandona a virtuosismi di sintetizzatori e vocoder che sembrano usciti da “All Eyez On Me”.
Seguono 3 Bonus Track, nella versione Deluxe e vale spendere due parole per The Recipe, sempre in compagnia del buon muscoloso Andre. Stilosissima. E non vi ho parlato di “Swimming Pools”, con Drake, “The Art Of Peer Pressure” e “Money Trees”, che hanno degli schemi metrici particolarissimi e che nonostante tutto non annoiano nemmeno un secondo.
Il disco di Kendrick Lamar è distante dagli standard bassi di questo periodo, nei quali prendi le 4/5 (se sei fortunato) tracce migliori e te le metti da parte, per lasciare poi l’album assieme agli altri. E’ buona musica, di qualità, che si lascia sempre riascoltare con piacere. Molto più di quello che ci si aspettava da lui. Basta dare uno sguardo in giro per cogliere l’entusiasmo che si è generato all’improvviso attorno a questo personaggio. E’ un rapper moderno, lontano dai clichè, che ha avuto sul sottoscritto lo stesso effetto di un Tyler The Creator, di un Frank Ocean, anche se con le dovute proporzioni stilistiche. Kendrick ha un enorme talento, ma soprattutto ha dimostrato di avere buon gusto e di saper raccontare: doti a molti, anche più talentuosi, spesso sconosciute.

Questo, per quel che mi riguarda, va dritto nella classifica di fine anno: dovrete votare voi.

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Robert Pagano

 



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