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Kanye West – Yeezus (recensione)

kanye_west-yeezus_review-304x304 The monster’s about to come alive again

Kanye West il magnifico è tornato, di nuovo avvolto da tutto lo splendore e il peso del suo mantello da monarca. Lo avevamo lasciato a crogiolarsi nel successo ottenuto con quel masterpiece di “My Beautiful Dark Twisted Fantasy”, ma prima di aprire la doverosa finestra sul nuovo disco, è altrettanto doveroso capire come Kanye sia arrivato a partorire il concept di questo nuovo progetto e come il pubblico sia arrivato ad accogliere la nuova venuta di Yeezy. Giusto un mese fa abbiamo assistito alla solita inarrestabile valanga di tweet oltreoceano, quando West ha condiviso un semplice quanto efficace “18 June” – per annunciare sobriamente la data di uscita dell’album. Mentre i fan consumavano il tasto refresh su Youtube in attesa del primo leak, Kanye decide che la solita routine di lancio promozionale è davvero troppo convenzionale e punta allora su un sistema poco ortodosso. La sobrietà si è quindi fatta da parte quando la clip di “New Slaves” è stata proiettata su ben 66 diversi edifici scelti in altrettante location del globo. Il video però non viene rilasciato su nessuna piattaforma online. Conseguenza? Le aspettative dei fan schizzano a mille, non si trova nulla in rete e le uniche anteprime sono quelle dei fortunati che sono riusciti a filmare spezzoni dell’evento live con la confusa qualità audio-video smartphone. Arriva poi l’esibizione attesissima al SNL dove finalmente tutti possono ascoltare “New Slaves” e la turbolenta “Black Skinheads”. Iniziano a sorgere i primi punti di domanda. Cosa sta facendo Kanye? Le indiscrezioni sono poche, le anticipazioni pure. Il 10 giugno West invita ospiti e media a una riservatissima listening session, per proporre in anteprima il frutto nato dai mesi spesi in studio di registrazione tra Parigi e Los Angeles.

Ed è così che il 18 Giugno arriva “Yeezus”, dopo il timore superato che la nota presunzione di Kanye lo avesse davvero portato a intitolare il disco “I am God“.

I just talked to Jesus. He said, “What up Yeezus?”
I said, “Shit I’m chilling. Trying to stack these millions”

Yeezus è un cazzo di mash-up di cose mai viste o sentite. New wave, punk, rock e ovviamente Hip Hop – o non ne staremmo qui a parlare – si abbracciano e fondono nelle visioni artistiche contorte di Kanye. Se state cercando quel suono soul vintage o full rap tanto classico, mi spiace dovervi avvertire: avete sbagliato strada. Anche perché il primo ad averla cambiata è proprio il nostro caro West. Dopo il primo ascolto “Yeezus” può dare l’idea di essere la colonna sonora di un film splatter, un disco creato in mesi di lavoro solitario, visionario e sperimentale. Così è stato, effettivamente, e io non ho potuto fare a meno di immaginare un Kanye svarionato con una lunga barba che riemerge distrutto dal buio e dai fumi dello studio con il master del disco ultimato.  10 tracce, ma TUTTE da prendere con le pinze, o almeno con spirito aperto e non soggettivo. Vediamo perché.

On Sight” apre il sipario, con una produzione affidata alla cortesia degli dei dell’elettronica (leggi Daft Punk) che con synth sfocati annunciano l’arrivo della stagione di Yeezy. “Black Skinhead” ha invece batterie forti, dal suono duro e potente. Un rap (?) rock che sembra più adatto a una release di Marilyn Manson rispetto a qualsiasi sinonimo di Hip Hop, ma che non mi stupirei comunque di sentire e vedere nel prossimo film di un certo Quentin.

Capitolo dedicato alla traccia “I am a God”. Per fortuna la correzione nel titolo per lo meno diminuisce le manie di grandezza (perché “I am God” sarebbe stato davvero troppo). Track che trasuda di quella arroganza e self-confidence in cui Kanye ama immergere i propri testi e molti versi sono effettivamente piuttosto presuntuosi e difficili da digerire. Tra bassi stridenti e accartocciati conditi di synth Kanye ride di tutta la negatività che ha dovuto sopportare, dell’odio ricevuto per il suo discutibile senso della moda fino al suo concept di rap/hip hop e si proclama Dio “until the day I get struck by lightning”. Urla laceranti sparse qua e là rendono il pezzo un cult horrorcore – per fortuna che Justin Vernon dei Bon Iver fa capolino alla fine della track per placare la trasformazione del mostro. L’ascolto notturno in solitaria non è consigliato.

New Slaves” in versione ufficiale è ugualmente densa e cattiva a quella sentita al SNL. Un pezzo incredibile in cui sul lato della produzione una bassline molto soft abbraccia un sample di synth davvero aggressivo. “You see there’s leaders and there’s followers, but I’d rather be a dick than a swallower” – Kanye è come sempre senza freni, il pezzo cresce costante in un continuum quasi viscerale che fa sentire lotta e scontro fino all’arrivo del candido Frank Ocean che chiude il tutto con la solita, indiscussa voce soave (anche se forse, troppo compressa). “Blood on the Leaves” è forse il pezzo migliore del disco e prende spunto da quella“Strange Fruit” cantata da Nina Simone (sample tra l’altro molto difficile, ma che il genio di Kanye riesce a incastrare e reinventare alla perfezione). Kanye cerca di far chiarezza con calma sui cocci di una relazione fallita: “I just need to clear my mind now, it’s been racing since the summer time”. Il tentativo fallisce e il tutto si trasforma in una rabbia travolgente: “We could’ve been somebody”- il rap che riempie la seconda parte è ancora furioso, prima di tornare nei mugugni dell’auto-tune tanto caro a Kanye che sono comunque davvero accattivanti.

Vi ho parlato dei pezzi più significativi del disco e fino a qui, in “Yeezus”, ancora non è comparsa traccia dell’Hip Hop tradizionale. Per coloro che stessero soffrendo questa situazione, ci pensa “Bound 2” a  riallacciare (almeno) qualche rapporto. Il tema è di nuovo la sua reputazione nel mondo femminile sopra al sample di “Bound” dei Ponderosa Twins Plus One, mentre Charlie Wilson caccia un ritornello davvero d’effetto e piacevole che corona la conclusione di uno dei dischi più avventurosi della discografia di West.

Yeezus” con i suoi 40 minuti e sei secondi è corto, una scommessa. La rivincita. Un disco personalissimo, una lotta che Kanye vuole portare avanti da solo contro tutti, affrontando amore, odio, relazioni del suo mondo musicale e privato. C’è ancora un largo uso dell’auto-tune, ma non risulta mai pesante o fuori luogo sulle produzioni retro-futuristiche scelte. Pesa l’assenza dei caratteri classici dell’Hip Hop? No, anzi. Avrebbero stonato nell’insieme atipico e rivoluzionario voluto dal genio controverso ed egoista di Kanye West. Diversi i livelli emotivi nei pezzi, che sono sicuramente tutti propri dell’artista. La forza e la precisione con cui ha progettato tutto, nei minimi dettagli si sentono potenti e chiare. Ciò che rende il sesto disco di West convincente nonostante quello che inizialmente può sembrare un insieme di urla e produzioni fuori dal comune è il fatto che Kanye resti piacevole e interessante come è sempre stato. “Yeezus” da assuefazione dopo ogni singolo ascolto. I punti di domanda iniziali sono tanti, ma dopo aver assimilato il concept, il dorso dei punti di domanda si raddrizza e compaiono solo punti esclamativi. “Yeezusanticipa i tempi e cercare di etichettarlo è un’impresa difficile. E’ stridente, scomodo, coraggioso e inarrestabile – come tutte le cose che hanno reso grande l’Hip Hop (cit.) Un disco clamoroso in tutti i sensi che si svela piano, ma con velata prepotenza.

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Mattia Polimeni



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