Involuzione in nome del progresso
Il mondo sta cambiando ad una velocità esponenziale, non è certo una novità. Cosa accadrà? Difficile a dirsi.
Ci raccontano che non c’incontreremo più personalmente, bensì virtualmente tramite gli occhiali 3D; forse siamo così assorti dalle nuove tecnologie e nuovi media da non riuscire a comprendere che ciò sta già accadendo, in 2D. Alcuni sostengono che l’homo sapiens sapiens stia evolvendo nell’homo technologicus, altri parlano, forse più appropriatamente, d’involuzione.
Ci siamo evoluti fin qui, in milioni di anni esperendo emozioni funzionali all’adattamento; ebbene sì, il ruolo principale delle nostre emozioni, seppur non sempre piacevoli, è quello di adattarsi all’ambiente circostante. Sono proprio le espressioni e, più in generale, le reazioni psicofisiologiche connesse alle emozioni come ad esempio la fuga immediata, ad aver permesso all’umanità di sopravvivere. Ora, la domanda che sorge spontanea è: cosa ce ne facciamo delle reazioni psicofisiologiche se i pericoli anziché reali sono sempre più virtuali e le espressioni sono state sostituite dalle emoji? Il quesito ancora più importante da porsi però è se siamo felici.
Viaggiando in Paesi poveri, dove un medico guadagna solo ventidue dollari al mese, ho potuto osservare popolazioni che, paragonate a noi, non hanno nulla ma possiedono dei gran sorrisi, veri, quelli che da noi riusciamo a trovare sempre meno. Prima ancora di Freud, il quale aveva affermato l’idea che la nevrosi fosse in aumento in concomitanza con il profitto, un neurologo americano aveva notato che un disturbo nervoso etichettato come nevrastenia, e da altri soprannominato “americanite”, era in aumento nel mondo ricco. I dati purtroppo lo dimostrano: i disturbi mentali sono maggiori nei Paesi industrializzati difatti, per esempio, il decorso della schizofrenia è più favorevole nelle popolazioni in via di sviluppo rispetto a quelle più avanzate e l’incidenza della depressione è associata alle rapide trasformazioni delle società industrializzate. Siamo arrivati ad avere circa 300 malattie mentali, elencate nella più recente edizione del manuale diagnostico e statistico utilizzato da psicologi e psichiatri per effettuare le diagnosi.
Molte delle nostre psicopatologie non compaiono nelle culture orientali e sono limitate alla nostra società, la stessa che ci crea una notevole mole di “bisogni”, confondendoci e non permettendoci più di vedere limpidamente cosa è essenziale e cosa invece è superfluo. È ormai chiaro che l’aumento dei casi di anoressia nervosa, malattia assai rara al di fuori del mondo occidentale, è legato all’intensificarsi delle aspettative relative all’estetica ed ai valori a essa attribuiti; l’agorafobia è altrettanto sconosciuta nelle società orientali. Altre sindromi circoscritte alla cultura occidentale sono: le balbuzie, la sindrome premestruale e quella della menopausa, l’ipertensione, la depressione post-partum, i maltrattamenti ai bambini (e i loro effetti sulla personalità) nonché il disturbo di personalità antisociale. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha rilevato che entro il 2020 la depressione sarà la seconda causa principale di mortalità.
Una persona su due, nel corso della vita, va incontro ad una psicopatologia e ciò implica la riduzione delle prospettive di occupazione, la produttività ed il profitto, oltre ad un aumento delle probabilità di soffrire anche di cancro e malattie cardiovascolari. Anche in Italia, come in altri Paesi industrializzali, i disturbi mentali costituiscono una delle maggiori fonti di carico assistenziale e di costi per il Servizio Sanitario Nazionale; si presentano in tutte le classi d’età, sono associati a difficoltà nelle attività quotidiane, nel lavoro, nei rapporti interpersonali e familiari, alimentano inoltre spesso forme d’indifferenza, di emarginazione e di esclusione sociale.
La terapia cognitivo-comportamentale, che si propone di togliere gli schemi disfunzionali di pensiero, si è rivelata altamente efficace, talvolta anche più dei farmaci, con il vantaggio che gli effetti perdurano anche una volta terminata la terapia. Nella nostra società quindi, se da un lato la prospettiva relativa alla durata della vita aumenta, dall’altra i livelli di salute mentale sono in drastico calo.
Lo scenario che possiamo di fatto aspettarci è quello di una grande “epidemia” sanitaria a causa del legame tra sviluppo economico, invecchiamento e psicopatologia.