Intervista a Mendosa
Di origini pugliesi, Mendosa è nato e cresciuto nell’hinterland milanese. La carta d’identità lo vede vicino ai quarant’anni: nei primi 90’, in piena esuberanza giovanile, l’infatuazione per l’hip hop e la prima crew, Animali da Falò. Il tempo di prendersi una pausa, tra viaggi e nuove esperienze che lo portano anche nella Grande Mela, e siamo nei primi anni del nuovo millennio. Il mixtape “Angeli e Diavoli” rompe il ghiaccio: l’incontro con Naghe degli Emarcinati genera “Senso di Presagio”, criticato positivamente dalla maggior parte degli ascoltatori. Nel 2011 produce “Parole & Fatti” in combination col sound system/indie label YeaSound: andiamo a scoprire Mendosa!
Una lunga carriera, che prende avvio dalla crew Animali da Falò nei primi ’90 (assieme ad un giovane Babaman, tra gli altri), ma i primi dischi ufficiali arrivano tra il 2009 (Senso di Presagio, con Naghe) ed ora con Parole & Fatti. Dov’è stato Mendosa in tutto questo tempo?
Più che una lunga carriera direi una lunga passione per la black music e per l’hip hop che nasce nei primi anni Novanta. Questo è il periodo della mia prima crew, Animali del falò, con cui ho condiviso svariati palchi. Ahimè, data la scarsità di risorse non siamo riusciti a registrare nessun album ma solo qualche cassetta di freestyle fatto in casa, per la precisione in cantina dove Dj Lou graffiava la puntina sui suoi Technics. Verso la fine degli anni Novanta ci siamo separati e ognuno è andato per la propria strada. La mia purtroppo non è stata tutta in discesa e dopo varie disavventure e scazzottate col diavolo ho deciso di intraprendere dei viaggi per ritrovarmi. Questa scelta mi ha costretto ad allontanarmi dalla scena ma non mi sono allontanato né dalla musica né dalla scrittura! Al mio ritorno quindi mi sono ritrovato con un po’ di materiale da registrare. È nato così il mio primo progetto, “Angeli & Diavoli”, in cui racconto, come accennavo prima, il mio incontro con il male. Il mixtape è a mio parere scarso di liriche ma pieno di significato, oserei definirlo un libro più che un cd. A questo punto mi sono messo al lavoro, studiando ed esercitandomi, e dopo l’esperienza vissuta a Manhattan (dopo la racconto) mi sono rimesso in gioco e ho cominciato a cercare un po’ di produttori per selezionare beat classici e dare vita a un album più curato. Non è stato un lavoro semplice, dato che l’hip hop stava già lentamente mutando ma grazie ai producer Rastee e Mirghe e alla conoscenza di Naghe siamo riusciti a incidere l’album “Senso di presagio”, realizzato in due anni per problemi logistici, creando un ponte Barcellona – Milano. Nei due anni successivi, prima dell’uscita di “Parole & fatti”, non avendo avuto la possibilità di portare in giro lo show con Naghe, ho cominciato a dilettarmi sui riddim e sui suoni non propriamente classiconi. E tra freestyle, dancehall, jam e un mixtape fatto in collaborazione con Yeasound la strada ci ha portato a “Parole & fatti”.
Magari per qualche 20enne di oggi l’hip hop è solo un’infatuazione adolescenziale, da sostituire con la prossima moda del momento. Per te è un po’ l’amore di una vita: com’è arrivare vicini agli –anta ancora da rapper?
Fortunatamente mi dicono che dimostro dieci anni di meno anche se io me ne sento dieci di più… ihihihihi. Per quanto riguarda la passione per il rap penso che non ci sia età e nel mio caso non potrei farne a meno. L’unica differenza che ci può essere dall’essere baldi giovani è che la vita che vivi da “quarantenne” ha più filtri e di conseguenza le tematiche trattate sono più ragionate e le metriche più formate ma soprattutto uniche e non clonate. Dal basso dei miei quasi -anta – come dici tu – posso affermare di essere arrivato a una maturità tale che mi permette di trattare con ironia anche gli argomenti più seri e pesanti. Il lato negativo è che diventi meno tollerante verso quelle persone che rovinano tutto ciò che è stato creato dai veterani dell’hip hop italiano e a volte ti scoraggi e perdi la voglia di continuare ma poi la passione si fa necessità e non ti resta molta scelta: devi farlo e basta.
È palese che sei arrivato a pubblicare dei dischi con idee musicali e stilistiche ben chiare: allora quanto conta la componente “esperienza” e avere idee ben definite, nella creazione di un progetto?
Intanto ti ringrazio. Penso che “l’esperienza” conti tantissimo e mi riferisco sia a quella musicale che a quella di vita, per me le due vanno di pari passo. Per quanto riguarda la prima mi reputo fortunato dato che ho vissuto gli anni della golden age e ho avuto come maestri dei colossi che mi hanno formato. Per quanto riguarda il secondo tipo di esperienza ho avuto la possibilità di viaggiare parecchio, vedere e conoscere; tutto ciò mi ha fornito una visione più ampia e consapevole. Inoltre penso che le due esperienze siano entrambe fondamentali per il completamento di un artista ma soprattutto per la creazione di progetti che poi raggiungono i giovani e quindi una fascia ideologicamente più vulnerabile. Infine l’esperienza mi ha portato a capire quanta poca umiltà ci sia in giro, io penso invece di averne fatto un punto di forza. Invito quindi gli mc alle prime armi a non approcciarsi all’hip hop attaccando il prossimo ma esaltando il proprio e concentrandosi su questo, oltre che su contenuti meno banali.
Dalla tua biografia risalta la settimana-premio a New York nello studio di Doug E. Fresh. Hai avuto modo, dunque, di saggiare le differenze che intercorrono tra la realtà statunitense e quella italiana, in particolare la milanese, tra le più floride mai avute nello stivale. C’è qualche aspetto che hai fatto tuo da questa esperienza americana? E quanto ancora bisogna lavorare da noi per raggiungere quei livelli?
Credo che ci sia ancora tanto da lavorare per raggiungere quei livelli e mi riferisco soprattutto alle produzioni musicali: i suoni masterizzati quali casse, rullanti, sample, synth ecc… raggiungono prestazioni altissime. Nonostante ciò, devo ammettere che anche oltre oceano la situazione è un po’ cambiata o meglio si è tamarrizzata (ovviamente è un mio gusto personale). Invece per quanto riguardi il lato mc credo che il livello si sia equiparato in tutto il mondo anzi ritengo che in alcuni paesi la qualità sia anche più alta rispetto a quella targata Usa. I francesi per esempio sono arrivati a un livello superiore e il loro segreto è stato mantenere e coltivare il proprio rap negli anni senza farsi contaminare troppo dalle mode del momento. Avviene un po’ come nel calcio: se non si crede nei nostri giocatori e nel loro stile di gioco e non si investe sui giovani ma sui soliti campioni difficilmente si vince un mondiale o un europeo e difficilmente ci si rende unici. Ecco cosa porto dall’esperienza con Doug E. Fresh: una grande invidia per come viene vissuto l’hip hop, dai negozi, palazzi, grattacieli di dischi soul/rap/reggae fino alle jam, ancora chiamate così… pensa!
Alla base della produzione musicale di Parole & Fatti non solo l’opera del sound system YeaSound, ma anche l’ausilio di diversi musicisti, che in effetti influenzano positivamente il risultato. Com’è nata la collaborazione con questi strumentisti? È stata una tua scelta personale affidarsi all’estro anche di artisti non propriamente hip hop?
L’idea nasce insieme alla Yeasound con cui, dopo una selezionata ricerca di suoni, ci siamo resi conto che quello che volevamo era qualcosa di più che campionare, avevamo la necessità di gestire più accuratamente ogni singolo suono e strumento e di ricreare le nostre melodie in maniera più costruita. Così abbiamo proposto a Matteo Merighi (bassista, chitarrista e batterista ), a Fabio D’urso (altro bassista) e a Paolo Martina (tastierista), tutti musicisti con un notevole background fatto di black music, di provare a fondersi con noi. Il risultato è stato che ci siamo presi bene e subito. Con questo non intendo dire che sia sbagliato campionare o fare rap su semplici loop, anzi va fatto perché questo è l’origine dell’hip hop, ma ritengo che la qualità ottenuta da uno strumento suonato dal vero sia più soddisfacente a livello di mastering. L’impronta reggae, come hai sottolineato, è evidente e personalmente ritengo che il rap affiancato al ragga sia una fusione perfetta, un po’ come il pane con la nutella. E chi meglio di General Levy, Skarramucci e Easy One poteva rappresentare questa armonia?
“Ti spammo” è uno dei brani migliori del disco: sarebbe stato troppo facile cadere in banalità e populismi, in tema di social network. Invece ti lasci apprezzare per una sagace ironia. Addirittura Internazionale si è accorta del pezzo, considerandolo figlio del rap free style e spiritoso, puntuto e con cognizione di causa. Tu hai vissuto l’hip hop prima dell’avvento di internet e social network: credi che questo mondo ne abbia tratto giovamento o meno?
Grazie mille, mi fa piacere. Non ti nascondo che è uno dei miei pezzi preferiti, anche se si tratta di una tematica leggera, è assolutamente attuale. A dirla tutta frequento internet da pochi anni ma chiaramente sono convinto sia un buon canale per diffondere la musica. L’affermazione di internet mi ha influenzato positivamente proprio perché mi ha permesso e mi permette di diffondere i miei pensieri in rima. Andando oltre, il pregio del web penso sia anche il suo peggior difetto: non ci sono regole e spesso i passaggi fondamentali che permettono a un artista di crescere vengono saltati con bombardamenti spammatici che portano mc di dubbio talento alla ribalta. Vedremo come andrà a finire quando tutto questo non ci sarà più, si necessita regressione… hahahahaha!
Sia con “Senso di Presagio” che in “Parole & Fatti” si apprezza un tuo abile e credibile tributo alla golden age, che, siamo sicuri, ha avuto sulla tua formazione musicale un ascendente importante. Cosa pensi delle epoche successive a quella, quando il rap ha visto il gangsta, la infinita diatriba underground/mainstream, le ibridazioni con l’elettronica, e così via?
Ho sempre preso ispirazione dal rap americano, specie all‘inizio degli anni Novanta. Ma per ispirazione mi riferisco alle loro metriche, alle produzioni e al flow, non ai loro contenuti, fatta eccezione per alcuni grandi tipo Nas, che già aveva capito come sarebbe finita! Piuttosto, ritengo che in quanto a cultura e liriche, loro avrebbero un po’ da imparare dal ‘made in Italy’. Poi in un Paese in cui le armi sono legali e l’interesse per l’hip hop viaggia su molti zeri è inevitabile che si arrivi a “dissarsi” e a spararsi addosso per il potere. La diatriba underground/mainstream c’è sempre stata e credo sempre ci sarà, anche in Italia già tra Sangue Misto e Articolo 31 non scorreva buon sangue. Oggi il tutto si è amplificato, il mainstream ha raggiunto il popolo e l’underground un ottimo livello. È una dura lotta, ma io so chi vincerà… hehehehe. Inoltre il rap ha assunto tantissime sfaccettature e si è fuso con svariati generi musicali. Penso che questo sia positivo ma bisogna stare attenti a non esagerare, a non farsi trascinare dalle mode passeggere, cercando di mantenere le proprie tradizioni e di differenziarsi per difendere il proprio marchio di produzione, un po’ come il grana padano. D.O.P. (denominazione di origine protetta).
Al disco partecipa anche General Levy; il sound system che ti ha accompagnato nella produzione musicale e artistica, YeaSound, è orientato particolarmente al reggae: l’amore per i ritmi in levare è sbocciato da poco, oppure era una prospettiva che avevi in mente da tempo?
La collaborazione con General Levy nasce proprio nello studio della Yea, all’epoca in cui i ragazzi lo stavano ospitando per una dub session. Dopo aver ascoltato alcune nostre produzioni il desiderio di collaborare è nato spontaneamente. E il risultato è “Music”, una sorta di concentrato del nostro concetto di ragga-hip hop, un pezzo che rispecchia a dovere la fusione tra Mendosa e Yeasound. Aggiungo che tra le mie influenze musicali figurano anche Krs One, Mad Lion, Raggasonic, Busta Rhymes… tutti artisti che si distinguevamo negli anni Ottanta/Novanta per metriche prossime al ragga. Non è un caso se ai tempi di Animali del Falò i nostri ritornelli suonavano già roots. Poi l’incontro con Yeasound mi ha permesso di sperimentare metriche e liriche più elastiche rispetto ai canoni classici del rap ma soprattutto questo incontro ha risvegliato quelle vybz positive che solo un’amicizia di vecchia data può dare. Ciò nonostante la mia cultura resta 100% hip hop. Ma senza paraocchi.
Grazie per la disponibilità Mendosa, spazio libero per te!
Grazie a tutti voi per esservi accorti di me, questo mi dà stimoli per continuare a fare roba e diffonderla. È grazie a blog, riviste e siti come MyHipHop che il tutto può essere raddrizzato, filtrando con gusto la marea di prodotti musicali presenti sulla scena. Big up!
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Nicola Pirozzi