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Intervista A DJ Pandaj

Intervista A DJ Pandaj

Esiste una regione tra la luce e l’oscurità, tra la scienza e la superstizione, tra l’oscuro baratro dell’ignoto e le vette luminose del sapere. È la dimensione dell’immaginazione, è una regione che potrebbe trovarsi ai confini della realtà. Questo è l’incipit di uno dei telefilm più noti della fantascienza. Ma si potrebbe applicare anche al nuovo disco di DJ Pandaj, un artista che si colloca certamente in una regione simile, ai confini dell’hip hop, in un viaggio con una Destination Unknown!

 

Destination Unknown giunge a tre anni di distanza da Hercolaneum: come si è svolta la sua lavorazione?
Innanzitutto quando ti metti a fare un disco è un bel momento creativo. Destination Unknown è stato molto lungo nella sua gestazione per puri motivi logistici. Lo studio in cui è stato realizzato, infatti, si trova a Torino (Pandaj risiede a Milano – nda). Tutta la pre-produzione l’ho fatta io da casa, per poi andare ai NoMad Studios con una bozza di lavoro già delineata. Artisticamente mi sono “sposato” con Ezra (produttore e proprietario degli studis – nda), perché ci siano capiti al volo su quello che dovevamo fare. Mi ha aiutato molto sullo sviluppo dei brani, piuttosto che nelle parti suonate. Nel mentre c’è stato il periodo in cui sono andato in tour con Roy Paci e spesso sono in giro con Frankie Hi-NRG. Comunque alla fine ce l’ho fatta, pur se ci sono voluti due anni buoni per arrivare a fare il master. È una situazione in controtendenza. Oggi molti fanno solo singoli o un album all’anno… Io ho sempre creduto che la musica di qualità debba essere fatta con il tempo dovuto.

Con quale criterio hai scelto i guest del tuo album?
Per me il featuring non deve necessariamente essere quello famoso, l’artista del momento. Molte delle persone che hanno collaborato con me sono amici, gente che ha avuto sempre un particolare rispetto nei confronti del mio lavoro e con cui ho condivido punti di vista. Nel caso di Ghemon ti ricorderai benissimo di essere stato tu a consigliarmi di lavorare con lui. Saturnino, L’Aura e Andrea Libretti sono amici che conosco da tempo. Poi c’è tutta la parte dei guest torinesi: questa è stata la vera rivelazione! A differenza di Milano, a Torino c’è questa atmosfera artistico-musicale dove tutti si ritrovano, si scambiano idee, si frequentano.

Sei considerato un artista molto particolare perché, pur collocandoti nella scena hip hop italiana, ne sei fuori sia per quanto riguarda la mentalità, che per la proposta musicale. 
Nell’odierna scena hip hop italiana io non ho i contenuti per starci o paragonarmi con alcuno. Innanzitutto faccio musica strumentale e qui, questa roba, non se la fila nessuno. Anzi c’è sempre il rapper di turno che deve insultare e che deve sembrare più figo degli altri. Ci sono comunque tre o quattro nomi storici per i quali io porto grande rispetto, ma questo non vuol dire che io ci voglia collaborare o che faccia parte della loro scena. Mi piace avere rispetto per chi ha coerenza nelle idee. Questo mi colloca in una situazione ambigua, in cui o si apre qualcosa insieme a me, o sono io a fare una cosa che mi piace. Non so se mi spiego. Mi hanno intervistato molti blog hip hop, ma io non sono mai andato a suonare nelle jam o nelle feste dove ci sono altri artisti della scena. Ma non sono neanche affine al genere degli Uochi Toki: troppo cervellotici! Penso che la scena hip hop non riesca a comunicare con modi sani, ma solo attraverso uno scazzo o con collaborazioni mirate a fare soldi. Poi c’è anche gente che ci crede e lo fa per passione.

Rimanendo nel genere, quali sono i tuoi ascolti preferiti?
In generale hip hop ed elettronica, come Flying Lotus, Nomac, DJ Shadow o DJ Krush. Rimango sempre affascinato da certe produzioni americane, tipo Pete Rock, DJ Spinna, oppure Waajeed, Mr. DiBiase o gli storici Massive Attack… Nel nuovo filone c’è un certo interesse per il dubstep, perché chi come me ama l’old school ma allo stesso tempo vuole un suono fresco e moderno, deve contaminarlo con queste sonorità. Ma nella sua totalità trovo che il dubstep sia un genere molto ripetitivo. Fondamentalmente manca il rap. Ed è un peccato perché i ragazzini di oggi ascoltano techno o dubstep e non il rap.

Opinione discutibile! Molti ragazzini ascoltano anche il rap…
Si, è un caso tipicamente italiano. Io sto parlando della scena internazionale. L’andazzo nei club ad esempio è quello che ho appena descritto: dubstep a go-go! Qui siamo ancora legati alla vecchia house, dove c’è gente che suona ‘sta roba da più di 20 anni e non lascia spazio ai giovani.

Beh, un discorso che si può applicare un po’ in tutti gli ambiti: musica, lavoro, politica… Ma qual è il limite dell’hip hop?
L’hip hop in Italia riesce a comunicare solo ai ragazzini, ma non va oltre. Non riesce a fare quel salto di qualità per cui può essere compreso anche da persone più mature, da quelli della nostra età.

Che tipo di pubblico viene ai tuoi show?
Trovo sia il b.boy che il rockettaro o l’amante dell’elettronica. È esattamente il pubblico che vedo quando vado ai concerti che mi piacciono. Gente di diversa estrazione sociale, unita da un’unica passione. La cosa strana che ho osservato è che le persone che seguono i miei DJ Set si comportano come fossero a dei concerti veri e propri e questo mi piace un sacco. Non necessariamente il DJ deve essere l’animale che fa ballare il pubblico, ma deve anche saper farlo riflettere e farlo divertire in maniera differente.

La tua musica paga un forte debito ad atmosfere cinematografiche. Stai facendo qualcosa che riguarda solo il cinema?
Insieme a Saturnino (bassista di Jovanotti – nda) sto realizzando una colonna sonora per un film. Non ne posso ancora parlare nel dettaglio, ma probabilmente la pellicola  sarà presentata a Berlino e a Cannes.

Interessante!
Il cinema fa parte del mio background. Ci vuole una certa fantasia nel comporre la musica di un film se non si hanno le immagini sott’occhio. Ho sempre ascoltato le colonne sonore dei film. Da ragazzino se mi piaceva un film o un cartone animato, compravo anche le musiche. Oggi anche i produttori di musica elettronica hanno spazio in questo mondo. Prima la colonna sonora era realizzata da un’orchestra, poi con l’avvento dei software le cose sono cambiate. Ci sono nuove prospettive per chi fa musica. Bisogna adattarsi, ricoprire diversi ruoli. Insomma gestirsi in autonomia, facendo anche il manager di se stessi e il distributore dei propri prodotti. Con Internet tra poco anche le etichette capitoleranno!

Intervista A DJ Pandaj

Abiti a Milano da sempre: come l’hai vista cambiare in questi anni? Come potresti descriverla? Molti pensano che ci siano ancora grandi opportunità…
Milano rimane tra le città più interessanti d’Italia. Ci sono concerti, film, teatri, ecc. La differenza è che negli ultimi anni si è un po’ abbassato il livello qualitativo. Milano ha subito una sorta di “smantellamento” della propria dignità, soprattutto grazie alla passata amministrazione. Riguardo la musica, la città è in preda alle lobbies. C’è quella delle discoteche, del Salone del Mobile, dello IED, della SAE: per qualsiasi cosa c’è una lobbies. Se non fai parte di quei gruppi che organizzano e gestiscono, non fai un cazzo. È come nella politica: nei posti strategici non ci stanno le persone che sanno fare, ma quelli che hanno gli intrallazzi. Lo stesso succede qui nella musica. Quando arrivano i nomi famosi, ci suonano solo gli amici degli amici: questa è la situazione. E infatti io non suono più a Milano. Unica eccezione è il Bitte, perché mi sembra uno spazio che dà la possibilità di fare un certo tipo di discorso. Una volta c’erano i Centri Sociali che proponevano e fungevano da fucina di idee e nuovi discorsi. Ora tutto è cambiato. Si dovrebbe prendere ad esempio Torino per capire come fare funzionare le cose. Siamo a 200 KM di distanza, poca roba. Eppure gli affitti costano la metà, la qualità della vita è più alta. Anche lì ci saranno delle lobbies, ma esistono talmente tante associazioni che tutti riescono comunque a suonare. Molti torinesi vanno anche all’estero. Dei milanesi invece chi va? Son sempre qui a fare la marchetta di turno…

A proposito di live, come si struttura il tuo show?
È un work in progress. Sto collaborando con diverse persone e ognuno dà un contributo video o tecnico. Vorremmo portare in giro questa estate uno spettacolo che è frutto delle esperienze comuni. Ad esempio stiamo sviluppando l’aspetto del video-scratch. Se ne occupa il ragazzo che ha fatto la copertina del mio disco. Utilizzo la tecnologia di Serato Video SL, è un po’ la novità del momento. Vorrei che il mio spettacolo fosse una sorta di film, dove le sensazioni sono tramutate in musica e video, dove la realtà viene raccontata con un messaggio positivo. Se manca quest’ultimo la musica non alcun scopo. Se devo fare una performance con semplici video, allora non mi interessa: bisogna raccontare delle cose.

Riesci a mediare il tuo ruolo di DJ con Frankie e la tua carriera solista?
Mi ritengo fortunato a collaborare con Frankie. Al di là del discorso artistico e della caratura del personaggio, c’è empatia tra di noi. Molte delle persone che ci hanno visto dal vivo lo hanno notato. Lo showcase che portiamo in giro è molto apprezzato e dà una carica positiva a chi vi assiste. È molto old school: due piatti e un mic. Lavorare con Frankie mi mette a mio agio, abbiamo gli stessi punti di vista e il condividere le idee rende tutto perfetto. Gli sto anche proponendo del materiale per fare cose nuove, è da un po’ che non esce un suo disco.

Una sorta di do ut des…
Si, ci siamo trovati quasi per scherzo e oggi invece suoniamo diverse volte al mese. Un bello scambio.

Mi hai accennato a un nuovo EP…
Ci sto pensando. Sono ancora preso dall’album, ma già mi frullano delle idee per la testa. Se riesco a coinvolgere i rapper che mi interessano…

Ci saranno ancora delle voci femminili come in Destination Unknown? È raro trovarne di questi tempi nei dischi hip hop…
Lavorare con Suz, L’Aura e Vaitea è stato un onore. Hanno saputo interpretare benissimo le mie musiche. Il fatto che nell’hip hop ci sia poco spazio per le donne è vero. Soprattutto in quello italiano. Generalmente nel rap si esprimono concetti poco edificanti nei loro confronti, ma secondo me ci sono molte artiste nostrane che meritano di essere valorizzate. Tra queste c’è sicuramente Vaitea, una che ha la sensibilità, il piglio e l’esperienza giusta. Spero che il suo prossimo disco abbia l’accoglienza che merita. in futuro mi piacerebbe coinvolgere altri nomi femminili: se c’è qualche artista che non conosco, si faccia avanti!


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Andrea “Teskio” Paoli



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