Internet Addiction Disorder: le menti intrappolate della nostra società
“Baratterei tutta la mia tecnologia per una serata con Socrate”.
Una frase insolita, molto più insolita se uscita dalla bocca di una delle menti più geniali e produttive della nostra epoca, il grande e semplicemente unico Steve Jobs.
Durante un’intervista, Gerald Crabtree, direttore del Laboratorio di Genetica dell’Università di Stanford in California, commentò con le seguenti parole la frase del defunto padre della Apple: «Sono assolutamente d’accordo con lui. Anche perché sono pronto a scommettere che, senza arrivare a menti eccelse come quella di Socrate, se un cittadino di Atene del 1.000 a.C. apparisse nella nostra epoca, sarebbe il più brillante e il più emotivamente stabile di tutti i nostri amici e colleghi e rimarremmo stupiti dalla sua memoria e dalla visione molto ampia delle sue idee».
Ai più sembrerebbe un vero e proprio controsenso, ma è molto probabile che Jobs, pur portando gli occhiali, ci vedesse molto più lontano di quanto potessimo aspettarci. Negli ultimi anni è diventato esponenziale l’aumento di persone (in particolare i giovani) che sviluppano una vera e propria dipendenza dal mondo digitale. Vivono costantemente interconnessi, passando dal cellulare al pc, alla console e via dicendo.
Fateci caso, è sempre più difficile incrociare lo sguardo della gente, molti nemmeno fanno caso a come e dove camminano per star dietro al cellulare. L’Internet Addiction Disorder (IAD) è una vera e propria patologia che condiziona la vita di chi ne soffre come qualunque altro tipo di dipendenza, dalle conseguenze spesso drammatiche.
Difficoltà a dormire, necessità di trascorrere sempre più tempo sul web, mancanza di concentrazione, difficoltà a creare relazioni sociali, disinteresse verso altri tipi di attività oltre a quella online, fino ad arrivare a depressione e ansia.
Conseguenze peggiori per i bambini come la diminuzione della memoria e incapacità a «sviluppare la parte del cervello legata alla concentrazione», precisa all’emittente inglese la psicologa Catherine Steiner-Adair. Tanto che secondo le linee guida del National Institute for Health and Care Excellence sia adulti che bambini dovrebbero passare massimo due ore al giorno davanti a uno schermo.
«La dipendenza da internet è una patologia che si sta diffondendo a livello epidemico» afferma lo psichiatra Federico Tonioni, a capo dell’ambulatorio al Gemelli, evidenziando come i dipendenti dai social network siano almeno due su dieci. E proprio come ogni altra dipendenza, l’astinenza porta a «crisi e sintomi fisici molto simili a quelli manifestati da tossicomani in crisi da astinenza».
Bisognerebbe solo staccare un po’ lo sguardo dallo schermo, alzare la testa e prender consapevolezza del mondo intorno a sé. Nessun video ad alta risoluzione batterà mai la bellezza di un paesaggio mozzafiato visto dal vivo. Nessun videogioco, film o serie tv batterà mai una serata tra amici o una passeggiata al parco.
Nessun’amicizia in rete avrà mai il valore di una nella vita reale (un detto, infatti, dice che “le migliori amicizie nascono al bar”, non sui social). La vita fuori dallo schermo è senza paragoni rispetto a quella digitale.
Spegnete il telefono e accendete la testa.