Intelligenza artificiale e criminalità organizzata: la sfida è sui Big Data
Intelligenza Artificiale e criminalità si sfidano sul campo dei Big Data: in alcune parti del mondo si stanno sperimentando soluzioni in stile Minority Report per prevenire la criminalità. Ma non solo: la capacità di predire eventuali crimini, o per lo meno capire quanto possano essere probabili in certe zone delle nostre città, non è più di esclusivo dominio della fantascienza.
Il futuro corre veloce e tra distopie di controllo e utopie anarchiche non sembrano più esserci mezze misure. Ma, senza fare il passo più lungo della gamba, sembra più che legittimo farsi la seguente domanda: in che modo la tecnologia può aiutarci a combattere la criminalità?
Senza dubbio, gli strumenti digitali, da Facebook a Google, passando per Skype e WhatsApp, sono una nuova frontiera anche nell’eterna lotta tra guardie e ladri. La paranoia da sorveglianza globale è una delle leve su cui si gioca la partita del terrorismo. Ma non è chiaro se eventuali controlli da parte di polizie internazionali e servizi segreti possano fare più male o più bene alle nostre fragili democrazie.
Per quanto riguarda le tecnologie di prevenzione del crimine, non è affatto detto che possano funzionare. Inoltre, uno dei difetti che potrebbero avere al loro interno potrebbe essere l’inclusione di tutta una serie di pregiudizi che rischiano di confermare gli stereotipi invece che disinnescarli. La criminalità può essere prevedibile tramite i Big Data? Probabilmente sì, ma bisogna capire quale prezzo dovremo poi pagare.
La criminalità organizzata, dalla mafia alla camorra, non si occupa di complicate teorizzazione né di sociologia. La criminalità si è evoluta, ma non sembra che la tecnologia le sia stata dietro. I criminali usano i nuovi mezzi di comunicazione come un canale in più. Eventuali super cybermafie sono ancora ferme alla pura finzione. Sono i governi che stanno spingendo sull’acceleratore della manipolazione tecnologica e le organizzazioni che utilizzano internet per colpire le loro vittime sono limitate ai famosi truffatori che spammano finte mail di account bancari per cogliere con le braghe calate noi poveri sprovveduti nei momenti in cui, tra un selfie e un video su YouTube, la nostra attenzione è ai minimi.
Il deep web è stato per un periodo al centro della discussione, con il celeberrimo Silk Road in cui si poteva anonimamente acquistare sostanze illegali, armi e, addirittura, assassini prezzolati. Non si è mai capito esattamente se il servizio fosse davvero in grado di mantenere le sue promesse, per quanto illegittime.
La criminalità organizzata, da parte sua, comunica in modo ancora tradizionale: i mezzi di comunicazione digitale possono essere utilizzati per attività illecite, ma, in ogni caso, non hanno stravolto il modo in cui funziona la criminalità organizzata. Skype, Telegram e altre applicazioni possono essere utilizzate dai criminali per comunicare, ma non in modo strutturalmente diverso da come si potrebbe utilizzare un telefono usa e getta o, in linea di principio, un fax. Anzi: probabilmente in questa febbre digitale, le vecchie tecnologie rimangono le più difficili da tracciare.
Una tendenza presente nel fenomeno dei social network è quella della massima trasparenza, o almeno quella di rendere visibile ciò che prima era nascosto, come evidenziato da fenomeni tipo il bullismo. La mafia cambia, si adatta, ma le nuove tecnologie potrebbero avere il ruolo di eroderne il contesto di omertà che ne rende possibile l’esistenza.
Le nuove tecnologie potrebbero avere un grande ruolo nel creare consapevolezza attorno alla questione della criminalità organizzata. Progetti multimediali come Proton, coordinato dall’Italia con il criminologo Ernesto Savona del centro Transcrime dell’Università Cattolica Sacro Cuore di Milano, puntano proprio su questo aspetto, esplorando nuovi modi in cui le simulazioni virtuali ci possono dare qualche illuminante visione sull’evoluzione dei contesti sociali in cui le organizzazioni criminali si trovano ad operare.
Basato su 11mila profili e 200mila crimini forniti dal ministero della Giustizia italiano, il progetto Proton ha l’obiettivo di sperimentare l’impatto a lungo termine delle politiche di prevenzione e contrasto alle organizzazioni criminali e anche a quelle terroristiche.
Utilizzando questo grande database, la simulazione, realizzata in collaborazione con il CNR, per creare, come ha raccontato Ernesto Savona, uno dei responsabili del progetto, «una società virtuale in miniatura, per esempio un quartiere di una grande città, che comprenderà una popolazione “sana” e una criminale, per vedere come le persone si uniscono alle reti criminali». In questo ambiente virtuale «si potranno quindi sperimentare situazioni complesse che non possono essere riprodotte nel mondo reale: potremmo testare politiche, come l’effetto della rimozione della potestà genitoriale nelle famiglie mafiose e l’allontanamento dei figli, per impedire loro di assorbire quei valori».
Forse la tecnologia può aiutare più noi che la mafia. Almeno, grazie ai dati, nella comprensione delle sue più oscure dinamiche di funzionamento e interazione con la società.