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Cura dell’hashish: tutto quello che c’è da sapere

Facciamo chiarezza una volta per tutte sulla cura dell'hashish e sfatiamo anche qualche mito

Una panetta di hashish

Prima di iniziare con il procedimento vero e proprio, va fatta una premessa: non tutto l’hash può o deve essere sottoposto a un processo di cura. Una volta per fare l’hashish, dopo aver battuto le piante (metodo di estrazione tradizionale tipico del Rif) si colpiva con martelli di legno la resina, al fine di scaldare e compattare la polvere per poi confezionare panette o ovuli. L’hash lavorato come una volta veniva quindi già sottoposto a calore dai produttori stessi, mentre oggi questo passaggio non viene più effettuato.

La maggior parte dell’hashish che arriva oggi in Europa è glassy, vetroso, ovvero con una texture dura simile al vetro, perché la polvere viene solo pressata e conservata a freddo.

La prima cosa da fare è dunque valutare se il prodotto che abbiamo davanti ha bisogno di essere curato.

Un dry-sift può essere curato quando è ancora glassy, ovvero duro, con l’interno più chiaro rispetto alla parte esterna ossidata, mentre scaldato risulterà sticky, più morbido e elastico, con meno differenza di colore tra dentro e fuori. Il risultato che vogliamo ottenere è un cambio netto nella texture, da dura e difficile da sbriciolare con le dita a più morbida, che si sbriciola velocemente se sottoposta alla pressione. 

Per fare sì che il nostro hash si curi, possiamo o lasciarlo a temperatura ambiente in casa e aspettare che con il tempo (possono servire varie settimane, dipende dalla temperatura) si curi o accelerare questo processo sottoponendo il dry-sift a una temperatura di circa 36-37 gradi (mai sopra i 40 gradi) per varie ore. Si può decidere di tenere una temperatura più bassa ma chiaramente i tempi si allungheranno. Sotto i 30 gradi possono volerci molti giorni.

Non è possibile dare indicazioni precise sui tempi, perché dipendono dalla quantità in grammi che vogliamo curare e dalla resina. Una panetta da 100 gr a parità di temperatura avrà bisogno di almeno 24 h per cambiare stadio, mentre un pezzetto da 5 grammi della stessa qualità può metterci 6 ore, per esempio.

Non è detto che un hash che muta più velocemente sia necessariamente migliore di uno che ci mette di più. I fattori che determinano i tempi sono la quantità, il metodo di estrazione, l’anno in cui è stato fatto e infine anche la stabilità della resina. Il prodotto va comunque valutato principalmente per il profumo e il sapore e non di certo per la velocità con cui reagisce al calore, perché non è una valutazione obiettiva e completa.

È importante che il calore arrivi in maniera uniforme e non solo da un lato, per questo fonti di calore piane come i termosifoni non vanno bene, mentre è ideale utilizzare un roner, elettrodomestico per la cottura a bassa temperatura. Per utilizzare il roner dovete chiudere sottovuoto, due volte, la placca di hash per evitare che entri acqua. Oppure se decidete di curare piccoli pezzetti, si può evitare il roner tenendo l’hash a contatto con il corpo.

In qualunque modo si decida di curare è fondamentale utilizzare una plastica resistente e non assorbente per evitare che l’olio che fuoriesce dal dry venga assorbito e con esso odore e sapore. Quindi avvolgete bene il dry prima in una carta non assorbente, poi sigillate con la pellicola. Se durante le ore di cura toccate il dry sentirete che cambia di consistenza: passa da duro, quando ancora è glassy, a morbido, per poi diventare nuovamente duro all’esterno, ma farinoso all’interno. Una volta aperto troveremo olio sulla carta: è la resina che con il calore si scioglie e si separa. Quest’olio contiene terpeni quindi non è un bene che si separi dal resto del dry ma va recuperato. Consiglio dopo la cura di mettere in congelatore il dry per qualche minuto in modo da poter raccogliere l’olio facilmente con il pezzo di hash stesso.

Notate bene che la cura non è un passaggio obbligatorio, anzi per alcuni fumatori o professionisti del settore è un procedimento che andrebbe evitato perché accelera la degradazione naturale della resina. Una panetta sottoposta a questo tipo di cura tenderà a seccarsi molto prima rispetto a una non curata, ancora glassy. Per evitare che il dry si secchi una volta curato, va chiuso e tenuto in frigorifero o congelatore.

Attenzione, la cura non è alchimia: non è possibile trasformare un prodotto mediocre o scarso in un prodotto di alta qualità.

A cura di Hilde Cinnamon
Grower residente a Barcellona. Ha un cultivo, un’associazione cannabica e una selezione di genetiche più che rispettabile. Instagram: @hilde.cinnamon

 

TG DV


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