In Sud America essere ambientalisti è ormai una condanna a morte: ucciso anche Isidro Baldenegro
Isidro Baldenegro Lopez era un indigeno messicano. Da molti anni si batteva con determinazione per i diritti dei popoli indigeni e contro lo sfruttamento della terra e della natura da parte dello stato e delle multinazionali. È stato ucciso nella sua comunità nelle montagne della Sierra Madre settentrionale, nello stato di Chihuahua, da un uomo armato.
La sua è stata una lunga battaglia che lo stato messicano ha lungamente perseguitato, mettendolo per due volte in prigione, la prima per 15 mesi con l’accusa di aver organizzato proteste contro il disboscamento illegale nelle montagne della Sierra Madre, la seconda con l’accusa di possesso di stupefacenti e di armi da guerra, un’accusa rivelatasi falsa a seguito di una vasta campagna internazionale a suo favore, durante la quale Amnesty International lo aveva adottato come prigioniero di coscienza.
La sua attività in difesa della terra e dei popoli indigeni gli era valso anche il Premio Goldman, ovvero il maggior riconoscimento internazionale per la difesa dell’ambiente, detto anche il “nobel verde”. E Baldenegro è stato il secondo nobel verde ucciso in meno di un anno, dopo l’omicidio dell’attivista honduregna Berta Caceres, nel marzo scorso.
Da tempo a causa delle minacce ricevute l’attivista messicano viveva in semi-clandestinità, costretto ad esiliarsi dalla sua comunità, a causa delle costanti minacce contro la sua vita. Secondo quanto riferito dall’agenzia Reuters Baldenegro era tornato al suo villaggio per fare visita a uno zio malato, e proprio nella sua abitazione avrebbe fatto irruzione un uomo che lo ha ucciso con diversi colpi di arma da fuoco prima di allontanarsi.
L’agenzia di stampa riferisce anche il presunto omicida sarebbe stato fermato anche dalla polizia durante la fuga, ma non sarebbe stato arrestato. Un fatto che, se confermato, getterebbe una nuova ombra sui rapporti tra polizia messicana e sicari al soldo dei poteri criminali, siano essi relativi al narcotraffico o alle aziende che lucrano sulle risorse naturali.
Un’ulteriore conferma di come in molte parti del mondo, specie in centro e sud America, l’essere attivisti civili comporti rischi enormi per la propria vita. Secondo il rapporto 2016 di Global Witness, lo scorso anno sono stati uccisi 186 attivisti in 16 paesi del mondo. La maggior parte di questi tra Brasile (50 omicidi), Colombia (22), Perù e Nicaragua (12).