IN ITALIA E' GUERRA AL WRITING
Se da un lato la street art è entrata nei salotti buoni di tutto il Paese, dall’altro aumenta la repressione per il writing. Con una via di mezzo fatta di rassegne, festival o manifestazioni, dove l’atto di dipingere viene etichettato come riqualificazione urbana, “Come se il presupposto fosse che noi abbiamo il culo sporco”, ha spiegato Ozmo a Myhiphop.it. In questi giorni è stato tradotto in italiano un bell’articolo di C125 che cerca di far chiarezza su quali fossero le rivendicazioni dei writer originatori di questa cultura rispetto alla street art moderna. Utile per capire meglio il contesto ricco di sfaccettature nel quale le amministrazioni locali operano con la delicatezza che avrebbe un elefante nel giocare all’“Allegro Chirurgo”. Ma il problema vero non è nemmeno la scarsa percezione culturale che le istituzioni hanno del fenomeno, quanto il fatto che la risposta sia sempre, solo e unicamente repressiva. Una repressione che cresce per il numero di processi e per il livello di accanimento. Dopo l’inasprimento delle norme durante il governo Berlusconi e i mass media sempre schierati a senso unico e il primo “Cleaning day” nazionale a maggio 2013, il risultato è stata la condanna in primo grado di due ragazzi – colpevoli di aver dipinto un muro – per associazione a delinquere, a 6 mesi e 20 giorni di carcere più 400 ore di lavori socialmente utili. E a Milano, che è l’epicentro di questa guerra silenziosa, si stanno istruendo altri processi che vanno in questa direzione. Per cercare di fare il punto della situazione e capire come poter intervenire per cambiare il clima di tensione che si sta creando in varie città, si è tenuto proprio nel capoluogo lombardo l’incontro dell’Associazione per Dipingere, organizzato dal Leoncavallo in collaborazione con Le Grand Jeu, l’associazione che ha recentemente contribuito al progetto della Tour Paris 13. Christian Omodeo, uno dei fondatori dell’associazione che ha moderato il dibattito, ha puntualizzato che: “Parliamo di ragazzi che hanno l’unica colpa di aver dipinto un muro, quindi, al di là dei giudizi, si tratta di ritrovare un equilibrio per quello che riguarda la pena, tenendo presente che la sola repressione ha il solo risultato di incrementare gli atti vandalici. Sono politiche che invece che risolvere il problema lo complicano ancora di più”. Al dibattito, pubblicato integralmente su You Tube, hanno preso parte anche Mirko Mazzali, consigliere comunale e presidente della commissione sicurezza e coesione sociale e gli artisti Mr. Wany, Soviet e 2501, oltre al dottor Domenico Melillo, penalista ed esperto in materia, al quale abbiamo fatto qualche domanda.
Cosa sta succedendo?
Nel 2009 durante il governo Berlusconi è stata modificata la norma dell’art.639 del Codice Penale, che punisce il reato d’imbrattamento: se prima era prevista la procedibilità d’ufficio solo nei casi in cui il reato fosse compiuto nel centro storico o su edifici di valore storico- culturale, da lì in poi il reato in questione è divenuto procedibile d’ufficio su tutti i beni immobili. In altre parole in passato era il privato a dover fare la denuncia e spesso non si arrivava nemmeno al processo perché le parti trovavano un accordo bonario, oggi invece è un continuo moltiplicarsi di processi penali, anche per fatti minimi o “bagatellari”, tutti processi che costano in media alla collettività 25mila euro ciascuno.
Ora c’è stata anche la prima condanna per associazione a delinquere…
Sì, nel settembre 2013 c’è stata la prima condanna per associazione a delinquere inflitta a due ragazzi. Che io sappia è la prima in assoluto: in Francia e Inghilterra si era provato in passato a istruire processi in tal senso contro le crew di writer, ma senza arrivare ad una condanna, perché l’accusa veniva regolarmente smontata in fase dibattimentale.
Che effetto ha questa politica?
Oltre al costo effettivo per tutti i cittadini, questa politica giudiziaria non aiuta a rieducare chi commette il reato, che sarebbe uno degli scopi del processo penale. Assistiamo ad una continua repressione, che viene accompagnata da titoli dei quotidiani che vanno da “Guerra ai writer” a “tolleranza zero” , modalità che, invece di risolvere il problema, porta a esasperarne la conflittualità, facendo aumentare gli atti vandalici in modo incontrollabile. Ritengo inoltre che il processo sia la sede sbagliata dove svolgere il dibattito sul valore artistico e culturale, poiché vi è in gioco lo sconvolgimento della vita di ragazzi che si trovano al banco degli imputati magari per una semplice scritta a pennarello su un muro.
Eppure c’era stato uno spiraglio quando riuscisti a far assolvere due ragazzi rei di aver realizzato un throw up sempre a Milano…
Infatti, anche perché per la prima volta è stato riconosciuto che un writer non è solo un imbrattatore e che le loro opere hanno un valore estetico. In tal caso non si parlava nemmeno di un’opera complessa ma di un semplice throw up. Il Tribunale di Milano riconobbe con sentenza che anche dietro ad un lettering c’è un autentico studio dello stile e della calligrafia, paragonabile alla ricerca tipica di altre forme d’arte.
Quali possono essere le soluzioni?
Bisognerebbe analizzare il problema sotto il profilo amministrativo invece che penale. Inoltre i comuni dovrebbero snellire le procedure burocratiche per le autorizzazioni e soprattutto concedere più spazi pubblici per dipingere. Ritengo che spetti alle amministrazioni incentivare la creazione di un circolo virtuoso del writing e della street art.
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