In India va avanti la protesta delle comunità indigene contro l’espansione delle attività minerarie
Il 2 ottobre, data del compleanno di Mahatma Ghandi, centinaia di membri delle popolazioni indigene Adivasi dello stato del Chhattisgarh, in India, si sono riunite in diversi villaggi per discutere dei nuovi piani del governo indiano di espandere le attività minerarie all’interno della foresta Hasdeo. Conosciuta come “I polmoni del Chhattisgarh” la foresta è dimora di numerose comunità indigene, come i Kunwar, i Gond e gli Oraon, da sempre dipendenti dalla Hasdeo per il proprio sostentamento. Ispirandosi alla filosofia della non violenza professata da Ghandi, sono oltre trecentocinquanta i locali che dopo l’assemblea hanno deciso di intraprendere una marcia di trecento chilometri e di dieci giorni per raggiungere Raipur, capitale dello stato del Chhattisgarh, e protestare per i propri diritti, già in passato ignorati dal governo di Nuova Dehli e dalla Adani, una delle più importanti compagnie indiane, responsabile per le operazioni minerarie nella foresta Hasdeo.
“Invece di proteggere i diritti di noi indigeni e di altri abitanti tradizionali della foresta, il governo federale e quello nazionale hanno unito le loro forze a quelle delle compagnie minerarie e hanno lavorato insieme per devastare la nostra foresta e la nostra terra” hanno affermato alcuni esponenti Adivasi in una dichiarazione pubblica de Comitato di resistenza per salvare la foresta Hasdeo, “Siamo compatti nel resistere e marciare per proteggere la nostra acqua, la foresta, la terra e i nostri mezzi di sostentamento e la nostra cultura che dipendono da essi. Chiediamo a tutti i cittadini che amano la Costituzione e la Democrazia, a tutti coloro che si impegnano a salvaguardare le acque, le foreste, la terra e l’ambiente, e a tutti i cittadini consapevoli, di unirsi a noi in questo raduno e nella marcia”.
Non è la prima volta che gli Adivasi sono costretti a protestare contro le attività minerarie nella Hasdeo Aranya. Nel 2010 il Ministero Federale dell’Ambiente indiano dichiarò la foresta una zona off limit per l’attività mineraria, un provvedimento però revocato l’anno successivo in una mossa destinata a spianare la strada alla prima miniera di carbone della Adani nella foresta nel 2013. Nel 2015 il gruppo industriale e una società energetica statale si videro poi assegnato un secondo grosso giacimento di carbone all’interno della foresta, operazione che si tradusse però in manifestazioni di protesta da parte degli Adivasi, ormai familiari con i danni ecologici risultanti dall’attività mineraria nella zona. Le richieste delle popolazioni indigene vennero apertamente ignorate e il permesso dei villaggi locali, richiesto per le attività minerarie nella zona, bypassato. Pochi mesi dopo l’Adani ottenne i permessi necessari per dare inizio alle operazioni. Oggi la storia rischia di ripetersi.
La marcia degli Adivasi si è ufficialmente conclusa il 13 ottobre e presto la battaglia si sposterà ancora una volta in sede legale, dove le corti indiane saranno chiamate a decidere sulla sorte di uno dei più importanti epicentri di biodiversità del paese. “L’estensione dell’estrazione di carbone pianificata oggi non solo distruggerà le case, le terre e i mezzi di sostentamento degli indigeni, ma si farà anche beffe delle pretese di Modi di essere in prima fila nell’affrontare la crisi climatica” ha affermato Caroline Pearce, direttrice generale della ONG Survival International, “Sostenere la resistenza degli Adivasi all’estrazione del carbone dovrebbe essere una priorità internazionale”.