In Albania stanno pensando di legalizzare la maggiore risorsa economica del paese
L’Albania vive da anni in un paradosso: una delle risorse principali del paese a causa del proibizionismo serve solo ad arricchire le mafie, creare insicurezza e sperperare denaro pubblico in azioni di polizia.
Esatto, stiamo parlando della marijuana, la cui produzione porta nelle casse della malavita locale fondi stimati in 4,5 miliardi di euro l’anno: la metà dell’intero Pil dello stato. Ora l’uomo d’affari e deputato del Partito Socialista (attualmente al governo) Koco Kokedhima ha lanciato la provocazione: “Legalizziamo la cannabis e facciamo in modo che questa risorsa serva ad arricchire il paese anziché le mafie”, provocando un ampio dibattito sui media nazionali.
I NUMERI DI UN’INDUSTRIA DA CAPOGIRO. L’Albania è uno dei maggiori produttori mondiali di cannabis, secondo le stime del ministero dell’Interno di Tirana ogni anno se ne producono oltre 900 tonnellate. La coltivazione di canapa è diffusa ormai in tutto il paese, specie nelle zone interne e montuose dove il controllo del territorio da parte della polizia è più difficile. Per rendere un’idea della diffusione basti sapere che quando, nell’estate 2013, la Guardia di Finanza italiana, in base ad un accordo con il ministero degli Interni albanese, ha inviato un aereo dotato di telecamere a sorvolare il territorio albanese alla ricerca di piantagioni, il velivolo ha individuando oltre 500 piantagioni di marijuana mappando appena il 12,5% del territorio dello stato. Numeri che hanno fruttato al paese il soprannome di “repubblica della marijuana” sui media internazionali.
L’INUTILE ARMA DELLA REPRESSIONE POLIZIESCA. Il governo ha avviato in questi mesi un’offensiva attraverso una serie di operazioni di polizia su tutto il territorio, anche a causa della pressione dell’Unione Europea, che ha elencato la lotta al narcotraffico tra le condizioni richieste al governo di Tirana per l’adesione del paese all’Ue. Una repressione che a tratti si è trasformata in una vera guerra, come a Lazarat dove nello scorso giugno oltre 500 militari hanno ingaggiato uno scontro a fuoco durato giorni contro i coltivatori armati di kalashnikov. Ma fino a che non vi saranno alternative per la popolazione si tratta di una guerra che porterà solo ulteriori problemi, senza nessuna possibilità di essere vinta. Neanche i fucili possono bastare a convincere i contadini a coltivare grano anziché cannabis quando piantando marijuana si guadagnano 300 euro al chilo mentre con il grano si fatica a mangiare. Infatti nei giorni dell’assedio a Lazarat i contadini si sono schierati in massa contro la polizia.