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Il vento cambia

cannabisI primi movimenti antiproibizionisti nascono negli anni 60/70 negli Stati Uniti: nel 1965 il poeta Allen Ginsberg portava un cartello con i primi slogan pro cannabis: “l’erba è divertente” e “l’erba è una botta di realtà”.

Il gruppo che manifestava è lo stesso delle immagini emblematiche che hanno fatto il giro del mondo, quelle dei fiori nei fucili. Fin dall’inizio quindi le battaglie antiproibizioniste sono legate a un più ampio movimento per i diritti e la giustizia sociale. Questo è anche il motivo principale per il quale il movimento antiproibizionista in Italia non accetta adesioni da parte del partito radicale o di partiti di destra (per chi volesse approfondire la questione può farlo sul sito leggeillegale.org).

Il vento sta cambiando soprattutto negli Stati Uniti, e molti proibizionisti, almeno quelli che non hanno interessi economici nel proibizionismo, hanno calmierato le proprie posizioni e cominciano a dire che un mercato ben regolamentato sia l’ideale per ridurre gli effetti nocivi. Il “dio mercato” ha fatto quello che decenni di movimenti antiproibizionisti non sono riusciti a fare, l’egoismo e la smania di “fare soldi” sta finalmente rompendo un tabù, quello della repressione dei consumatori di cannabis che hanno subito e subiscono anni di pena detentiva e costi sociali enormi solo per far uso di una pianta che nascerebbe libera in natura. Ma non illudiamoci, di libertà per la nostra amata canapa non se ne parla: sarà in libertà vigilata, o regolamentata.

Anche se la cosa più semplice sarebbe lasciarla coltivare a chi ne fa uso, l’obiettivo è aprire e regolamentare un mercato, che con le proprie leggi spietate farebbe nascere una lobby della marijuana interessata a promuovere il “prodotto” e ad averne il monopolio esattamente come fanno le lobby del tabacco e dell’alcool. Un team di consulenti che lavora per lo stato di Washington, sta studiando questi problemi con l’incarico di progettare il mercato legale della cannabis e il modello più interessante sembra sia quello dell’industria del vino, molto frammentato e senza una posizione dominante.

Personalmente non credo che il modello dei produttori di vino sia così come lo descrivono, in fondo anche lì sono decenni che il pesce grande mangia quello più piccolo, ma sicuramente non è paragonabile alle lobby di produttori di tabacco composto praticamente da poche famiglie. C’è da decidere come utilizzare gli introiti che verranno dalle tasse e bisogna evitare la facile tentazione di tassarla troppo per evitare il proliferare di un mercato nero con prezzi e qualità bassi. Insomma i problemi da affrontare sono molti, e le critiche non mancano.

Il vento sta cambiando e anche l’Italia ne sarà inevitabilmente coinvolta, sta a noi non cadere nel tranello di liberarla dalle sbarre e metterla in mano alle banche.



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