Il primo sindacato italiano della canapa è vivo e lotta insieme a noi
Se è vero che un sindacato trova la sua utilità nel momento in cui ci sia un bacino da tutelare e rappresentare, allora la nascita di ASACC dice molto sulla crescita del settore canapicolo in Italia. La sigla sta per Associazione Sindacale Autonoma Coltivatori, Lavoratori e Lavorazione Canapa e si configura come una galassia a disposizione degli associati lungo tutto lo Stivale. Poiché attorno a questa meravigliosa pianta rientrano le competenze di almeno sette ministeri (agricoltura, salute, economia e finanze, difesa, giustizia, lavoro, attività produttive e parallelamente anche ambiente e tutela del territori, istruzione-università e della ricerca ecc) altrettante sono le professionalità messe in campo dal sindacato attraverso una serie di sinergie e collaborazioni che includono avvocati, medici, consulenti fiscali e del credito, agronomi, centri ricerca e molto altro.
Lorenzo Cancogni è il presidente nazionale del primo sindacato italiano della canapa e ha messo in ordine con noi la priorità delle sue battaglie.
Qual è il primo obiettivo del sindacato? Quello raggiungibile e più urgente.
Obiettivo principe è il passaggio della canapa al riconoscimento di pianta officinale. Attraverso questo primo passaggio si spalancherebbero enormi portoni su tutti i fronti e a tutti i livelli.
Lavorando con lungimiranza, quale invece è quello auspicabile in un paese come l’Italia?
L’evoluzione è già in atto e non ci possiamo permettere di continuare a perdere tempo. Gli italiani sono stufi di essere sempre gli ultimi delle fila, quando abbiamo tutte le caratteristiche per essere i primi! Quindi: legalizzazione della canapa e dei derivati dal seme al fiore. Per molti la legalizzazione viene confusa con la liberalizzazione, ma la differenza è abissale. Legalizzare significa creare legalità attraverso norme precise che disciplinino una volta per tutte e con chiarezza: metodi di coltivazione, trasformazione, usi dei derivati, limiti di legge del THC, uso alimentare, utilizzo medico e omeopatico del CBD, limitazione dell’importazione dell’estero dei derivati che ad oggi col concetto di libera circolazione mettono in difficoltà le aziende italiane prigioniere di una normativa farraginosa che favorisce i prodotti stranieri figli della volontà dei governi di aiutarne la crescita.
A proposito, com’è nata l’idea di dare vita a un sindacato?
Dai primi dati del 2017 era chiaro che lo sviluppo del settore ormai fosse, nonostante le enormi lacune della legge 242/16, inarrestabile sia a livello di nuove imprese operanti sia di fatturati. Infatti nonostante quella che in alcune regioni sembra una vera e propria persecuzione da parte delle procure, intenzionate a ledere sia gli interessi economici del paese sia quelli della piccola media industria canapicola – chissà a quale fine poi!? – l’interesse per la canapa e ai suoi derivati cresce ogni giorno. Nel giugno del 2018 spinti da aziende operanti nel settore canapa, stufi delle classiche, storiche, realtà sindacali che per paura di ledere i propri interessi politici-sindacali non hanno mai preso una vera posizione e sono perlopiù rimaste semi-nascoste con i piedi in due scarpe, senza realmente approfondire le conoscenze tecniche e giuridiche della materia, abbiamo deciso di costituire ASACC come associazione sindacale trasversale per l’intero settore.
È possibile stimare quante persone in Italia sono coinvolte a livello imprenditoriale nel settore della canapa?
Impossibile a oggi fare questo tipo di valutazione, nascono e purtroppo chiudono ogni giorno centinaia di nuove Patite Iva, senza formazione e consapevolezza di cosa fare si rischia solo di sprecare energie e risorse economiche. Inoltre tante p.iva agricole hanno destinato una parte della filiera alla canapa e quindi non essendoci ancora un vero e proprio centro studi non è quantificabile il dato.
È possibile stimare quante ne sono interessate dal punto di vista terapeutico?
La sanità in Italia è demandata a livello regionale, nonostante il controllo centrale ogni regione può come meglio crede adottare in autonomia le proprie linee. Questa premessa serve per meglio comprendere le difficoltà anche solo a reperire statistiche veritiere nazionali.
Le ricette prescritte non sono solo quelle on-line che vengono trasmesse sia dai medici sia dalle farmacie, vengono prescritte anche ricette cosiddette “bianche” cartacee e non inviate al servizio sanitario regionale, né italiano. Ogni regione attribuisce in maniera discrezionale la lista delle malattie curabili a carico del servizio sanitario e solo per questo tipo di patologie è utilizzata la ricetta telematica rintracciabile. Per tutte le altre sintomatologie i medici prescrivono ancora con il cartaceo che nella maggior parte dei casi non è fonte per statistiche. Quindi secondo le nostre ricerche le stime fatte sono ben lontane dal reale fabbisogno dei nostri concittadini.
Se non si crea un registro nazionale delle persone in cura o che si vorrebbero curare con il terapeutico, non si riuscirà mai a creare una puntuale analisi delle risorse necessarie a garantire a tutti il diritto alla salute.
Un diritto alla cura che ora come ora fa acqua.
Esatto, basti pensare che un soggetto in cura con la cannabis terapeutica da una visita medico aziendale risulterebbe positivo agli stupefacenti e quindi potrebbe andrebbe incontro alla sospensione dal lavoro o in alcuni casi del licenziamento. Questo creerebbe emarginazione sociale, perdita della potenzialità economica e di spesa dell’individuo e della famiglia, discriminazione in quanto si subirebbe un procedimento lecito in base alle norme vigenti ma contrastante con l’art. 32 della Costituzione che garantisce il diritto alla salute e la scelta personale della cura ritenuta personalmente più idonea. Stesso ragionamento per il codice della strada in caso di esami tossicologici a seguito di incidenti o controlli stradali; qui ne conseguirebbe la perdita o la sospensione della patente con conseguente possibile perdita della capacita relazionale e lavorativa.