Il migliore dei mondi possibili, il peggiore dei mondi percepiti
Se leggiamo le parole di Leibniz quando dice che viviamo nel migliore dei mondi possibili, una sensazione di disagio profondo invade il nostro animo. Una voce interiore ci dice: “Migliore? Impossibile, con tutte queste guerre, tragedie, attentati, ingiustizie!”
È facile scambiare questa voce con quella della coscienza, ma in realtà non è così. Essa è la voce della percezione falsata della realtà.
Secondo il Global Study on Homicide, che comprende le statistiche annuali mondiali sulle morti violente nel mondo (omicidi a sangue freddo e terrorismo, guerre ed episodi di cronaca nera), le persone uccise per mano di altri esseri umani nel 2013 sono state circa 600.000, un numero incredibilmente alto per chi non penserebbe nemmeno di togliere la vita a una mosca. Ma se comparato al milione e mezzo del 1964, oppure agli 830.000 morti per suicidio del 2013, la proporzione comincia a prendere un peso diverso. Se poi ci accorgiamo che le persone morte per colesterolo e diabete nello stesso anno raggiungono i tre milioni, ci accorgiamo che la voce della percezione potrebbe non aver tenuto conto della realtà dei fatti.
La realtà dei fatti, per quanto assurda possa suonare di primo acchito, è che viviamo nell’epoca meno violenta nella storia dell’umanità. Nel 1865, il 20% delle persone incontrava una morte violenta, mentre oggi raggiungiamo appena l’1%. Quarant’anni fa la percentuale era sei volte superiore ad oggi. Se a questo aggiungiamo che nel mondo non esistono più carestie naturali e insormontabili e che le epidemie sono state sconfitte in maniera drastica, il bilancio delle nostre percezioni sembra sgretolarsi di fronte alla realtà dei fatti.
Perché la nostra percezione è così falsata? Perché nell’epoca dei mass-media, sette notizie su dieci in un telegiornale parlano di disastri, attentati e tragedie e la percezione che ne abbiamo è quella di un mondo pericoloso, terribile, in cui dietro ad ogni angolo ci attende la morte. Titoli sensazionalistici, demagogia e restrizione alla libertà sono tutti sintomi e conseguenze di questo modo ristretto di guardare al mondo senza valutarne i fatti concreti.
Viviamo nell’epoca in cui è più difficile farsi ammazzare e questo è un dato di fatto. Ma questo non significa che il lavoro sia compiuto, vuol dire semplicemente prendere atto delle straordinarie conquiste sociali, politiche ed economiche degli ultimi due secoli, possibili solo e soltanto perché molte persone in passato hanno cominciato a guardare di più ai fatti e molto meno alle fantasie.
Questo atteggiamento però oggi è in pericolo perché l’uso scorretto dei mass-media e dell’informazione, la circolazione di notizie false create ad arte, la diffusione di discorsi demagogici e pericolosi e la sapiente manipolazione dell’opinione pubblica da parte del terrorismo ci stanno portando a rinchiuderci nel bunker della percezione, convincendoci che il mondo sia un posto orribile, pericoloso, terrificante.
David Hume diceva che il nostro intelletto si inganna per colpa dell’abitudine, perché “abbiamo imparato che dove c’è del fumo c’è anche del fuoco” (David Hume, Ricerche sull’intelletto umano). Spesso però, il fumo non è prodotto da un incendio, ma da qualcuno che fuma il sigaro. Si tratta di non abbandonarsi all’abitudine e verificare quali sono le reali cause di un fenomeno, il vero significato di un evento. Si tratta di andare al di là dell’apparenza.
Solo in questo modo potremo leggere Leibniz e il suo migliore dei mondi possibili senza farci venire il mal di pancia.