Il grande inganno della ricchezza
Il desiderio di diventare ricchi è il sogno utopico di tante persone che vivono in un sistema economico capitalistico. Ricchezza e felicità, però, non sono necessariamente condizioni esistenziali simmetriche: probabilmente non solo non si è tanto felici quanto si è ricchi, ma l’agiatezza potrebbe avere l’effetto collaterale di annichilire il desiderio col quale plasmiamo il valore delle cose, rendendo tutto facilmente accessibile, rischiando che tutto diventi (emotivamente) più povero e privo di valore.
L’autentico vantaggio della ricchezza, allora, potrebbe consistere nella possibilità di liberare le attività che svolgiamo dall’interesse utilitaristico che le condiziona, perché esso è una forma di schiavitù. La libertà, infatti, si manifesta nelle cose economicamente inutili, che non servono a nulla, nel senso che non sono serve di nulla: studiare per il puro piacere di farlo e non per trovare un lavoro, relazionarsi agli altri per il solo piacere della relazione e non per calcolo o per necessità, lavorare come se il nostro lavoro fosse un hobby, scelto in base a ciò che amiamo fare, a quando vogliamo farlo e per quanto tempo.
Se ci pensiamo, questi privilegi appartengono in linea teorica a uno stadio successivo e migliorativo rispetto a quello che gran parte delle persone vive ed è caratteristico di chi ha già raggiunto l’autosufficienza economica e non necessita di denaro ulteriore.
Gli hobby, che rappresentano una attività economicamente poco utile ma libera, nella nostra società vengono considerati privi di una certa importanza, hanno il solo scopo di rigenerare le masse in funzione di altro lavoro, come una sorta di pausa caffè; certamente sono ritenuti meno seri del proprio impiego professionale. Il lavoro ha una qualifica maggiore, la domanda “sei un professionista o un hobbista?” possiede intrinsecamente anche una distinzione di valore. Esaltare il lavoro rispetto all’hobby significa celebrare l’attività in forma di schiavitù, di condizionamento, di vincolo, di costrizione, come un valore rispetto alla sua libertà. Questa è una delle formule con cui il sistema capitalistico ha trionfato: far sì che gli uomini credano nelle superiori virtù del lavoro, perché ciò garantisce uno stato di continuità e permanenza nella loro triste condizione.
Per cambiare le cose, non credo sia necessario essere davvero ricchi, ma potrebbe essere sufficiente un semplice ribaltamento della nostra scala di valori, perché nella società in cui viviamo c’è un paradosso: gli uomini sognano la ricchezza, ma danno valore a scelte esistenziali tipiche di chi è povero e schiavo delle necessità economiche. Viceversa, ripudiano le attività fini a sé stesse, privilegio di coloro che hanno raggiunto la meta che essi stessi venerano.
Si accontentano di ostentare e indossare un vestito simulacrale di opulenza, spendendo più di quanto guadagnano; in questo modo costruiscono intorno a loro una sorta di mondo fantasy che ha la stessa consistenza di un famoso cartoon creato dalla Disney; il reale Paperone però è colui che ha capito che l’utilitarismo è indice di penuria e sudditanza, e che ha scoperto il lusso delle attività fini a se stesse e il valore delle cose (economicamente) inutili.
a cura di Giordano Proietti