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Il futuro incerto del reggae secondo il boss di Rasta Snob

Il futuro incerto del reggae secondo il boss di Rasta Snob
Steve Giant con Freddie McGregor

Di recente il reggae è stato eletto patrimonio immateriale dell’umanità per aver contribuito al dibattito internazionale su ingiustizia, resistenza, amore e umanità. Alla notizia i più hanno esultato, qualcuno invece ha visto nel riconoscimento dell’Unesco, volto a garantire alla musica jamaicana protezione e promozione, una sorta di epitaffio. Perché se è vero che il reggae ha arricchito molti altri generi – tracce se ne trovano perfino nella trap -, la cultura che gli ha fatto da culla è mitizzata in un passato ormai lontanissimo. Molti dei suoi riferimenti si stanno perdendo e la generazione che è cresciuta con quei ritmi nelle orecchie non è più giovanissima, anche se: «un amante del reggae è per tutta la vita. Chi ha una famiglia forse oggi non viene più ai concerti ma ancora adesso ascolta musica in levare, compra dischi via internet e magari si abbona a Rasta Snob».
Rasta Snob è da trent’anni la rivista di riferimento del reggae in Italia. Il suo direttore, Steve Giant, un’istituzione per gli amanti del genere, da questo numero tiene insieme alla redazione del reggae magazine una rubrica specializzata su Dolce Vita, motivo in più per fare il punto con un esperto di questo calibro su quella che è non solo musica, ma una vera e propria cultura e filosofia di vita.

Steve, tu che ne conosci a menadito il passato, puoi dirci cosa vedi nel futuro del reggae?
Con la nostalgia sempre lì a far capolino, si tende a dire che prima era tutto meglio, anche il reggae, ma l’amore per una musica e una cultura originale, per un’isola dai mille colori, non si ferma mai. Ogni giorno se ne scrive un pezzo di storia.

Storia che tu racconti puntuale sulla tua rivista. Da osservatore sempre informato, puoi dirci come se la passa oggi il reggae in Italia?
Male, direi, e la dipartita del Rototom Sunsplash che nel 2010 ha scelto di trasferirsi nella vicina Spagna ne è la dimostrazione. La vecchia generazione ha cambiato vita, non ci sono più negozi di dischi a far da vero punto di riferimento: ora ci sono i canapai a sostituire i vecchi reggae shop! I giovani tendono ad ascoltare tutto con troppa frenesia e si dimenticano ancor più velocemente di qualsiasi messaggio. In Italia poi manca la solidarietà, la progettazione unitaria, un’idea di gruppo: tutti cercano di fotterti e il classico peace & love è solo una formuletta vuota e stra-abusata. Comunque io, che sono ottimista e positivo da sempre, dico che il reggae risorgerà.

Il futuro incerto del reggae secondo il boss di Rasta SnobNel panorama italiano, cos’è che ti scalda ancora il cuore?
Alborosie è sicuramente un genio, provate ad ascoltare l’ultimo album “Unbreakable”. Poi seguo con particolare attenzione i miei amici Mellow Mood e Paolo Baldini. Dalla Sardegna aspetto l’album bomba dei Train To Roots e intanto plaudo Forelock e i suoi Arawak, Lion D, Raphael e Bizzarri Sound. In Salento oltre ai fantastici Sud Sound System ci sono i BoomDaBash di cui seguirò con curiosità l’esibizione al prossimo Festival di Sanremo con un pensiero a quella volta che i Pitura Freska fecero una gran bella figura nella città dei fiori. Era il 1997. Una menzione va ad Awa Fall, Shakalab, Muiravale Freetown, Jah Farmer. Agli Africa Unite e a tanti altri. Il panorama reggae italiano esiste ed è variegato, ma aspiro a un vero reggae movement nazionale e non a una serie di egoisti e fenomeni paraculi!

 Se ci spostiamo all’estero invece, chi sono gli artisti che stanno scrivendo il presente del reggae?
Tanto per cominciare la famiglia Marley, da Damian Jr Gong a Stephen, grande produttore, da Ziggy a Kymani che animano tutto quello che riguarda la casa discografica Tuff Gong e il museo Hope Road. Né si possono dimenticare Shaggy, Sean Paul, Morgan Heritage, Chronixx e le leggende Steel Pulse, Burning Spear, Sizzla, Alpha Blondy… c’è ancora tanta storia da raccontare!

Quali sono gli eventi in cui il cuore del reggae è tuttora pulsante?
Senza dubbio il Reggae Sumfest che si tiene a metà luglio a Montego Bay. Per chi ama la reggae music non si può prescindere dall’isola di Bob Marley, la Jamaica unica e piena di spunti, di sensazioni e di vibrazioni positive. Poi esistono alcuni festival dove si sta bene senza spendere tanto e che offrono la possibilità di ascoltare tanti artisti di primo piano, parlo dell’Uprising Festival a Bratislava, il Reggae Sun Ska in Francia e il Reggae Geel in Belgio. Qui in Italia ho apprezzato la scorsa estate la grande unione di Bergamo Suona Bene e del territorio bresciano per una serie di spettacolari eventi rossogialloverde a ingresso gratuito.

Ora una domanda difficile: tra tutti i dischi che hai amato, dimmi i 5 dischi della tua vita?
Come è ovvio, in trent’anni di militanza reggae porto tantissimi dischi del cuore. Facciamo che ho licenza di nominarne 6? Allora, eccoli: “Exodus” di Bob Marley, un capolavoro assoluto, “Zungguzungguguzungguzeng” di Yellowman, “Til Shiloh” di Buju Banton, “Messenger” di Luciano, “Rappin with the Ladies” di Shabba Ranks e “True Democracy” di Steel Pulse.

Il disco più recente che hai scelto per la tua personale top 6 è del 1995. Il pubblico più giovane sceglie ancora questa musica?
Beh, conta molto la compagnia, l’ambiente in cui si cresce, il passaparola, e perché no un joint fatto bene. Allora sì che il reggae scorre che è un piacere!

Il futuro incerto del reggae secondo il boss di Rasta Snob
Steve Giant con i Morgan Heritage


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