Il disastro delle carceri femminili
Non ho mai parlato delle donne in carcere, che in Italia sono quasi 3000, il 4% del totale. Nel nostro paese ci sono 5 carceri femminili e 52 sezioni femminili in Istituti Penitenziari maschili. Chiaramente le sezioni sono separate e uomini e donne non entrano mai in contatto, nemmeno visivo, cosa che trovo personalmente molto crudele, ma come ho già avuto modo di scrivere, il trattamento che l’Italia riserva ai propri prigionieri è incivile, barbaro ed assolutamente inutile ai fini del recupero. Come gli uomini, le donne detenute vengono mutilate nelle proprie relazioni, anche in quelle che nulla hanno a che fare con i reati per i quali sono state condannate e messe in gabbia, contribuendo così a creare situazioni di disagio sociale ed affettivo, poiché molte donne sono anche madri e lasciano figli in affido ad altri nel migliore dei casi ed ai servizi sociali nella maggior parte.
Le esigenze femminili, da un punto di vista sanitario oltre che umano, sono molto diverse da quelle degli uomini ed immagino che l’assistenza sanitaria che per la popolazione maschile si riduce alla somministrazione di psicofarmaci, non sia adeguata ai loro bisogni, per esempio non credo che l’amministrazione passi gli assorbenti igienici. Non credo vi sia nemmeno un ginecologo in carcere.
La situazione del nostro sistema giudiziario e penitenziario è tale per cui lo Stato stesso, nel momento in cui mette in carcere una persona, colpevole od innocente che sia, commette una serie di reati che rasentano la tortura e qualche volta la raggiungono. La Corte Europea di Strasburgo ha già condannato il nostro Paese per questi motivi. Esistono, o almeno ho notizia, di situazioni più tollerabili, per esempio nell’Istituto Veneziano della Giudecca, dove su 101 posti disponibili vi sono 72 detenute e 4 bambini. La struttura è in un’ex convento del 1300, con chiostro, giardini e orti, in quest’ultimi si coltiva la verdura per il consumo interno e le eccedenze vengono vendute. C’è una sartoria e grazie all’aiuto dei volontari l’assistenza sanitaria comprende la presenza di un ginecologo, di un pediatra e di un oculista. Vi sono corsi professionali di buon livello e si lavora sul recupero e l’integrazione.
Se a Venezia si fa, significa che è possibile, ma serve coraggio e volontà. Ripeterò all’infinito che fintanto che punire chi sbaglia si riduce ad una vendetta dello Stato, non si risolverà nessuno dei problemi legati alla delinquenza. Nel caso delle donne in carcere la cosa è anche peggiore, poiché i loro figli cresceranno mutilati negli affetti ed incapaci di capire perché sono stati strappati dalle loro madri, indipendentemente dalle responsabilità oggettive che esse hanno nei confronti della società. Il salto di qualità non è facile, ma non v’è alternativa se non quella di precipitare sempre più in una situazione da terzo mondo.
Vi lascio confidandovi un piccolo segreto sul sistema che usano per comunicare i detenuti maschi con le detenute femmine durante la notte, a condizioni che le finestre delle sezioni siano a portata di vista: ci si mette davanti ad una finestra con un accendino e nel buio, che in carcere è sempre parziale, si disegnano velocemente nello spazio davanti al vetro (che in carcere è di plastica) delle lettere con la mano che stringe l’accendino acceso, la retina riesce a leggere la lettera che la mano forma, perché trattiene la luce per il tempo necessario, come per i fotogrammi di una pellicola che ci danno il senso del movimento anche se sono immagini statiche. Così facendo si riescono a comunicare brevi parole d’affetto… cosa che in carcere manca quanto la libertà.