Il Dio Denaro
“Il dio denaro ha vinto Dio” afferma una canzone dei Bluvertigo. Effettivamente nessuno può negare che da quando il denaro è diventato l’equivalente generale supremo per lo scambio di merci e per i processi di distinzione e gerarchia, esso imprime lo stile della società assumendo quasi un ruolo sacro e profano. Una persona senza denaro non può essere né un produttore né un consumatore. Agli occhi di molti perde, nelle nostre società, la qualità di essere umano e si vede relegato al rango di strumento inutile. In passato, i beni avevano un valore in base alla loro utilità e in base alla difficoltà di produzione/ottenimento e il commercio era regolato dal baratto, ossia da uno scambio diretto tra produttore e consumatore. Ora, è lo stato a decidere il valore di un oggetto e non ci sono più scambi diretti: bisogna passare per la tappa intermedia del denaro, dando anche una parte del risultato del proprio scambio allo stato.
Ogni cosa può essere tradotta in denaro ed essere messa sul mercato. Ogni desiderio può quindi essere canalizzato e divenire misurabile. In questo modo non si esprime più nella sua verità, ossia nel suo aspetto mobile, fluttuante, anche totalitario, assume invece l’aspetto regolato, sistematizzato, sterilizzato che gli consente di essere riconosciuto e accettato dalla società. Questo accade perché il denaro è prima di tutto e fondamentalmente un oggetto. Ogni centratura sull’oggetto pone in primo piano l’idea d’oggetto di soddisfazione; chi dice oggetto di soddisfazione rinvia alla soddisfazione del bisogno e dunque alla morte progressiva del desiderio. Ma il denaro non è soltanto un agente di trasformazione, un oggetto capace di essere amato, è anche un potente motore. Il denaro non è mai un oggetto inerte nel quale va a estinguersi la soddisfazione del bisogno. È un oggetto vivo che produce degli effetti, ha un’energetica propria. Il denaro apporta una rassicurazione all’individuo sulla sua identità, offrendogli innanzitutto il beneficio più apprezzabile: l’influenza sugli altri. Perché in una società del denaro, chi ha soldi, chi fa soldi, può mettere gli altri, chi più chi meno, alla sua mercé. È per questo che il denaro genera inevitabilmente denaro.
Il denaro è anche creatore di tempo, da qui il proverbio “il tempo è denaro”. Ci accorgiamo facilmente che il possesso di denaro permette di liberare del tempo da dedicare a ciò che ci piace, alla riflessione, alla convivialità e alla vita domestica. Ma c’è di più: il denaro crea un tempo storicizzato. Le società sviluppate in cui le persone hanno soldi non vivono nello stesso tempo delle società non sviluppate o in via di sviluppo. Ma il denaro crea anche gli spazi. Separa i poveri dai ricchi, gli uomini con uno status elevato da quelli di status umile. Ogni persona nella sua classe sociale conosce i suoi “perimetri” d’esistenza e non sconfina nei territori altrui, nessuno abita il medesimo territorio e ognuno sa dove sarà accolto o, viceversa, rifiutato. Per mezzo del tempo e dello spazio, il denaro crea così un mondo ordinato, in cui ognuno trova, spesso a malincuore, il suo posto, un modo d’essere che soddisfi il bisogno di classificazione e previsione degli esseri umani.
Il denaro ha un valore esagerato e calcolato sulla base di un’utilità pressoché nulla eppure governa il mondo, regola i rapporti interpersonali, fa finire amicizie e amori, scatena guerre, genera odio, truffe, violenza, sangue, morte. E’ il motore di tutte le assurdità e le atrocità umane. Oramai il denaro ci domina, sono riusciti ad imporcelo, ad assoggettarci ad esso, a renderlo indispensabile. Siamo completamente asserviti a chi produce il denaro e decide quanto darcene. E poi, attraverso la pubblicità e il mondo ovattato in cui ci fa nascere, decide anche cosa ne dobbiamo fare, rendendoci indispensabili cose inutili. E per ottenerle, siamo schiavi per tutta la vita. Facciamo le cose più degradanti e deplorevoli, ci costringono a fare lavori che non ci piacciono per ottenere cose che non ci servono. Questo è il malessere della società attuale, che la vita non la vive, la subisce.
Silvia Crema