Il culto della perfezione e i danni dello spreco
La ricerca ossessiva della perfezione non si traduce solo nella cura esagerata del proprio corpo, ma nell’assurda pretesa di ritrovare l’armonia delle forme anche nel cibo che consumiamo. Tutto ciò che non corrisponde ai comuni standard della cosiddetta “normalità” non trova posto nella vita di tutti i giorni.
Succede così che anche la frutta e la verdura di forma e grandezza inusuali, siano destinate a finire tra i rifiuti, nonostante abbiano un buon sapore e un alto valore nutrizionale. I contadini e i fornitori di frutta fresca hanno squarciato il velo su questo inaccettabile e reiterato scandalo dello spreco di cibo.
Tutti ricercano la perfezione e guai a trovare una melanzana dalla forma insolita o una zucca imperfetta.. Eppure proprio queste “parti” imperfette della natura potrebbero rappresentare la salvezza per quelle popolazioni continuamente alle prese con la fame, problema difficile da debellare anche a causa della superficialità della società opulenta che mette al primo posto l’apparenza.
I fornitori americani di frutta e verdura rivelano retroscena allarmanti, infatti un prodotto che presenti anche una minima imperfezione non può entrare nei circuiti dei mercati e ogni anno circa 60 milioni di tonnellate di frutta e verdura finiscono al macero per una perdita economica complessiva di ben 160 milioni di dollari.
Nella migliore delle ipotesi, gli scarti servono a sfamare il bestiame, ma solo in una ridotta percentuale di casi. A muovere le pedine di questa inaccettabile corsa allo spreco sono, naturalmente, le multinazionali della distribuzione che dichiarano di privilegiare gli interessi del consumatore, evitando di immettere sul mercato prodotti che non rispettano gli standard qualitativi richiesti.
Paesi lungimiranti come la Danimarca hanno promosso con successo politiche anti-spreco e qualcosa si sta muovendo anche ai vertici degli Stati Uniti; Obama e le Nazioni Unite hanno promesso di impegnarsi per dimezzare lo spreco entro il 2030. Nonostante ciò, i buoni propositi sono del tutto insufficienti. Lo smaltimento tradizionale del cibo non consumato causa un danno ecologico di proporzioni enormi, per cui la semplice presa di coscienza del problema non basta, serve un piano su larga scala ispirato alle strategie vincenti dei Paesi scandinavi.
Per riscattare il cibo imperfetto basterebbe renderlo espressione della cultura del dono in modo da sfamare i poveri e utilizzare gli scarti non più commestibili per produrre energia pulita o compost.
Forse però, per chi pensa solo a riempire le proprie tasche, il lento declino del nostro pianeta è un dettaglio decisamente trascurabile.