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“Il cibo ribelle” per riprendere in mano la nostra vita e fare qualcosa di buono per il pianeta

"Il cibo ribelle" per riprendere in mano la nostra vita e fare qualcosa di buono per il pianeta
“Se sulla terra 800 milioni di persone ancora oggi muoiono di fame e tre miliardi soffrono di malattie causate dagli eccessi alimentari c’è qualcosa che non va: è giunta l’ora di ribellarci”, mi dice Gabriele Bindi in questa intervista. E come dargli torto?

E così il giornalista di Terra Nuova, proprio durante la pandemia, ha scritto il libroIl cibo ribelle” proprio per provare ad offrire delle soluzioni, a maggior ragione se pensiamo a come il Covid-19 ha cambiato le abitudini alimentari e i rifornimenti di cibo a livello globale.

“Questo libro è nato durante la pandemia”, sottolinea Bindi puntualizzando che: “È stato un periodo che ci ha fatto riscoprire con nuovi occhi il territorio vicino a casa, la cura di noi stessi, il turismo di prossimità, la bottega di quartiere, le consegne del contadino. C’è una gran voglia di dare un senso a ciò che facciamo. Di coltivare il giardino dietro casa, di scambiarci clandestinamente la pasta madre, di ritrovarci a fare il pane una volta alla settimana, di mettersi a cucinare per la propria famiglia. Il cibo ribelle è il punto di partenza per riprendere in mano le redini della nostra vita e fare qualcosa di buono per il pianeta. Per godere di più e goderne tutti”.

E se pensiamo che l’Italia è considerata a livello internazionale come la patria del buon cibo, forse è proprio da qui che può partire una ribellione collettiva che potrebbe avere influssi non da poco sul mondo come l’abbiamo conosciuto fino ad oggi.

Nel sottotitolo del tuo libro hai unito 3 temi fondamentali relativi al cibo: la necessità di allontanarsi dal cibo industriale, quello di riscoprire i sapori, e infine ritrovare la salute. Da dove si parte?
"Il cibo ribelle" per riprendere in mano la nostra vita e fare qualcosa di buono per il pianetaSi parte dal diritto a un cibo sano e buono per tutti su questo pianeta. Si parte dall’ascolto di noi stessi e dei nostri bisogni. E si parte dalla voglia di ampliare gli orizzonti del gusto e della conoscenza, riassaporando i sapori veri, quelli che non sono adulterati e camuffati dall’industria del cibo. Se sulla terra 800 milioni di persone ancora oggi muoiono di fame e tre miliardi soffrono di malattie causate dagli eccessi alimentari c’è qualcosa che non va: è giunta l’ora di ribellarci. Ma la ribellione ha a che fare anche con la nostra voglia di una “dolce vita”. L’industria del cibo ci ha espropriato del nostro istinto per il cibo, uniformando i gusti, cancellando le differenze. Credo che la riscoperta del cibo vero sia fondamentale non solo per la nostra sopravvivenza negli anni a venire, nell’orizzonte della sostenibilità ambientale e della salute pubblica, ma anche per ampliare la nostra percezione, il nostro godimento, la nostra intelligenza. Detto altrimenti: per migliorare la relazione con noi stessi e gli altri abitanti della terra.

È ancora possibile produrre e nutrirsi di cibo ribelle nell’attuale società capitalistica?
È difficile, ma sicuramente possibile. Per i contadini si tratta di riscoprire i semi biodiversi, che sfuggono al controllo delle industrie sementiere e dei produttori di pesticidi. Per noi consumatori si tratta di scavare sotto la crosta delle abitudini che ci spingono ad afferrare velocemente il prodotto sullo scaffale del supermercato. Tutta quell’abbondanza multicolorata è solo apparenza e mistificazione: in realtà il cibo è sempre più uniformato. Bisogna tornare ad incontrare i veri agricoltori custodi, quelli che producono nel segno della biodiversità, che poi è l’esatto opposto del capitalismo, e se vogliamo anche di ogni forma di totalitarismo di stampo socialista che vuole cibi prodotti su larga scala, omologati e sterilizzati. La biodiversità è vera ricchezza ed è l’esempio tangibile del fatto che un’altra convivenza è possibile. La democrazia del cibo, con il libero accesso ai semi e con quel minimo di sovranità alimentare, che ogni regione deve tornare ad avere, è alla base della trasformazione della società. Se non cominciamo dal cibo, da dove vogliamo cominciare? Tutto il resto sono vuote chiacchiere se non si agisce sulla scelta più importante e irrinunciabile che volenti o nolenti compiamo ogni giorno…

Bisogna per forza autoprodurre o ci sono soluzioni alla portata anche di chi non ha ad esempio un pezzo di terra da coltivare?

"Il cibo ribelle" per riprendere in mano la nostra vita e fare qualcosa di buono per il pianeta
Gabriele Bindi

Non dobbiamo tornare a fare tutti i contadini, certamente no. Consentimi però una riflessione sui numeri: nel Medioevo nove persone su dieci erano agricoltori, oggi sono appena al 1-2% della popolazione. Credo che la percentuale dovrebbe aumentare, ci sono migliaia di giovani in Italia che oggi rappresentano una vera avanguardia culturale, che considero molto più evoluta della cultura hipster urbana. Stanno nascendo delle comunità del cibo dove si produce anche una nuova controcultura, che per fortuna sta sempre più penetrando anche nelle grandi città. Quello che ognuno di noi può fare è sostenere i piccoli agricoltori biologici, che sono anche i veri custodi del territorio. Basta frequentare i mercati contadini, ormai presenti sulle piazze cittadine almeno un giorno alla settimana, oppure iscriversi a un gruppo d’acquisto solidale, o acquistare prodotti locali nei negozi del bio. Bisogna dare il giusto valore al cibo, mangiare meno e mangiare meglio, con più soddisfazione. Ma credo che sia fondamentale riavvicinarsi alle campagne, dobbiamo tornare a visitare le aziende, guardare in faccia chi produce il nostro cibo. Perché l’aspetto fondamentale in fondo sono le relazioni: se agiamo su questo aspetto possiamo davvero incidere molto sulle sorti della nostra economia. Il nutrimento è anche questo, no?

Il tuo libro è arricchito da contenuti scritti da Franco Berrino e Vandana Shiva. Puoi riassumere il messaggio che hanno voluto lanciare?
Sono due contributi importanti, due liberi pensatori che stimo molto e che hanno molto seguito nell’opinione pubblica. Con Franco Berrino in questi anni ci siamo incontrati più volte, maturando una buona amicizia. Ho apprezzato molto l’entusiasmo con cui si è voluto cimentare con il tema scomodo della “ribellione”. Un epidemiologo di fama internazionale, appassionato della cultura orientale, intriso di spiritualità laica, ha mostrato tutto il suo spirito combattente. Le sue riflessioni sulle manipolazioni dell’industria del cibo sono sempre taglienti, parlano a tutte le generazioni. Anche il contributo di Vandana Shiva e di Navdanya International è stato molto significativo. Vandana ha dato una vera e propria benedizione al mio libro, le sue parole sono un vero invito alla ribellione di Davide contro Golia.

La pandemia come si pone nei confronti di questo processo di riappropriazione del cibo a dimensione locale?
Il cibo oggi è stato ridotto a merce e la globalizzazione favorisce questo processo di mercificazione urbi et orbi, con tutte le conseguenze del caso. Come scrive Vandana Shiva nel libro il Coronavirus ha messo in luce due aspetti. Il primo è che il cibo industriale crea le migliori condizioni di diffusione del virus negli ambienti di lavoro. In secondo luogo crea le condizioni per rendere le persone più vulnerabili, indebolendo la loro risposta immunitaria e facendole ammalare. La pandemia ci sbatte in faccia la verità: viviamo nell’era delle fake news e del fake food, ma c’è anche una risposta positiva in tutta questa faccenda. La macchina improvvisamente si è inceppata, e ci siamo chiesti se abbia senso continuare a fare la vita di prima. Il fatto che noi abitanti del mondo ricco possiamo scegliere cosa mangiare almeno tre volte al giorno, è una questione dirimente, che può fare la differenza.



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