Il Canada impone di distruggere la cannabis terapeutica ai malati
Trentasette mila pazienti autorizzati alla coltivazione di cannabis a scopi terapeutici si sono visti arrivare una comunicazione da parte del ministero della Salute canadese che gli intima di: distruggere le piante e i semi in loro possesso, nonché le scorte di marijuana detenute in casa, ed inviare una comunicazione firmata nella quale confermino di aver eseguito l’ordine e specifichino le quantità di piante, semi e sostanza distrutta. In caso contrario verranno avvertite le autorità, e si incorrerà nelle sanzioni penali previste per coltivazione illegale di marijuana. La ragione? “Tutelare la salute e la sicurezza pubblica”, secondo il vademecum pubblicato dal dipartimento federale della Salute. E per questo dal 30 aprile la produzione è permessa solo ad un ristretto numero di grandi produttori certificati.
LA PRODUZIONE ANDRA’ IN MANO ALLE INDUSTRIE. Nell’ingiunzione recapitata ai pazienti si raccomanda anche il modo in cui liberarsi delle piante distrutte: “prima distruggere le piane e bagnarle con acqua, poi frullare il tutto e mescolarlo con la ghiaia della lettiera del gatto in modo da mascherarne l’odore, quindi buttare tutto nei cassonetti della spazzatura. D’ora in avanti a fornire i 37mila pazienti che hanno diritto alla cannabis terapeutica ci penseranno un manipolo di privati autorizzati, in gran parte industrie farmaceutiche, che saranno libere di applicare il prezzo che vogliono, senza nessun tetto imposto dal governo. Con il prezzo che si prevede che si attesterà attorno ai 12 dollari per grammo, almeno sei volte di più di quanto costa l’autoproduzione.
OLTRE AL DANNO LA BEFFA. Come se non bastasse si prevede che almeno sino al 2015 la cannabis prodotte dalle aziende non basterà per tutti i pazienti che ne hanno diritto. Una situazione tanto più grave perché rischia di compromettere il diritto alla cura anche per pazienti alle prese con gravi problemi di salute. Secondo le stime gli otto produttori fino ad ora autorizzati hanno stoccato 31mila chilogrammi di cannabis, ma i pazienti canadesi in possesso di regolare ricetta medica hanno bisogno in totale di 190mila chili all’anno. I produttori hanno quindi sottostimato di oltre sei volte la quantità necessaria a soddisfare la domanda nonostante fosse perfettamente nota visto che le autorizzazioni precedenti erano a loro disposizione. Una domanda sorge a questo punto spontanea: si tratta di un errore o di una strategia delle industrie farmaceutiche per tenere alti i prezzi?
LE PROTESTE DELLE ASSOCIAZIONI. Preoccupati dalle spese da sostenere e dalle difficoltà di reperimento i consumatori si sono uniti in una class action difesi dall’avvocato John Conroy, il quale ha presentato ricorso denunciando che il provvedimento è una violazione alla Carta dei Diritti canadese e che obbliga di fatto quei pazienti che non potranno permettersi economicamente l’acquisto di cannabis a dover scegliere “tra la loro libertà e la loro salute”. Il ricorso è stato accettato dalla Corte Federale di Vancouver che ha stabilito che i pazienti dotati di autorizzazione potranno per ora continuare la coltivazione casalinga. Il governo canadese si è opposto alla decisione presentando un controricorso, nel quale afferma che l’autoproduzione produce rischi per la sicurezza come “incendi, muffe, e possibili rapine”.
VERSO IL MONOPOLIO DELLE MULTINAZIONALI? Oltre a tutte le difficoltà per i pazienti che abbiamo sottolineato, c’è un dato che merita una riflessione. Di fatto, il provvedimento canadese è un enorme regalo alle industrie, fatto a discapito dei diritti dei pazienti. I quali spesso avevano impiegato anni a selezionare la giusta varietà di cannabis adatta alla loro patologia ed ora saranno costretti a spendere enormi quantità di danaro per un prodotto che non sarà più fatto sulle loro esigenze, ma standardizzato in base alle esigenze del mercato. Nel momento in cui anche dagli Usa arrivano sempre maggiori notizie circa l’interesse del capitalismo verso questo “nuovo” ed enorme mercato, il rischio sempre più concreto è di trovarsi di fronte alla prospettiva di una legalizzazione fatta su misura del monopolio di poche multinazionali farmaceutiche e del tabacco, anziché su misura dei diritti dei cittadini.