Il baratro su cui pende la generazione Z
Y e Z. Sono queste le due lettere deputate a indicare generazioni che, pur avendo caratteristiche e tratti comuni, sono contrapposte nel modus operandi e nella memoria genetica. Mentre la generazione Y raggruppa tutti i nati dal 1980 al 2000 (i veri Millennials, per intenderci), la generazione Z, anche detta I-generation, imbarca sulla sua nave tutti i giovanissimi, tutti coloro che sono nati dopo l’anno 2000 e che qui ci interessa conoscere meglio.
La generazione Z nasce in mezzo al più grande boom mediatico che l’umanità abbia mai sperimentato: la Rete globale, accessibile e pervasiva. La loro identità è plasmata dalla crescita tecnologica di cui tutti ormai usufruiamo ma che, per chi oggi ha fra i dieci e i venti anni, ha una valenza totalizzante. La maggioranza dei dati raccolti sull’utilizzo dello smartphone dicono che in Occidente gli adolescenti vivono iperconnessi e curano la loro presenza sui social più di quella nella vita reale. D’altronde nascere in un mondo sempre online, dove tutto è a portata di clic, immersi in un flusso continuo di informazioni veicolate da innumerevoli piattaforme, significa crescere consapevoli dell’attenzione spasmodica che viene data all’immagine e alla gloria, alla rapidità più che all’accuratezza, alla popolarità più che al ragionamento, all’apparire più che all’essere.
Solo undici anni fa le community e le chat, ma anche Youtube e Twitter erano spiragli di intraprendenza sperimentale dove annunci e pubblicità ancora non si avventuravano. Sperimentavamo una connessione rudimentale e lontana che univa l’Io reale a quello virtuale ma in cui ancora si riusciva a scindere il tempo del computer da quello della vita quotidiana.
Per chi è nato dal 2005 in poi invece è profondamente diverso. Molti sentono un peso e un piacere morboso nell’alimentare una vita fatta di avatar, account, meme e Tik Tok. Il loro senso di collettività li immerge H24 negli smartphone e finiscono presto per domandarsi se il loro “Io Social” li appaghi davvero o se non siano altro che spettatori di coetanei diventati celebri per quindici minuti.
Nell’angoscia di esserci tutti e subito, di trovare qualcosa da dire o da mostrare che possa regalare una soddisfazione personale temporanea e scivolosa, chi oggi ha tredici anni vive una realtà che si scrive in parallelo a quella online, dove persino i giocattoli e le Lols hanno un loro canale YouTube.
Si è occupata di Generazione Z la società Ipsos MORI che, specializzata nelle ricerche di mercato, ha condotto uno studio rivelante le diverse sfaccettature dei giovanissimi britannici. Lo studio, chiamato “Beyond Binary: new insights into the next generation”, raccoglie in sé fonti e dati di origine diversa, e fornisce un’immagine variegata ma piuttosto fedele della nuova generazione di giovani.
Nel complesso, lo specchio della Generazione Z riflette giovani più o meno educati, fiduciosi riguardo la community web, socialmente molto attenti ai loro profili social e meno materialisti di quel che si possa pensare. Insomma ricercatori hanno estrapolato il quadro sociale giovanile che tutti ci aspettavamo, ma con qualche sorpresa.
Il 100% dei giovani che ha partecipato allo studio è attento alle problematiche ambientali, fa acquisti in larga parte sostenibili e nella maggior parte dei casi partecipa attivamente a qualche iniziativa di volontariato. Contemporaneamente sono più attenti alla gloria e all’immagine, ciò significa che gli acquisti che fanno vertono molto sulla vita social di marche ed etichette, ma anche sull’opinione della community.
Un dato interessante che la ricerca ha messo in luce è la correlazione fra l’esposizione alla tecnologica e l’abuso tecnologico che i ragazzi britannici attuano quotidianamente (+12h al giorno) che in pochissimi anni può causare uno squilibrio ansiogeno e cronico. C’è dunque un chiaro legame tra l’uso dei social media e la salute mentale, in particolare ansia e depressione, ma anche frustrazione, perenne sensazione di fallimento e angoscia.
Fare parte della generazione Z, quindi, significa rischiare di passare molto tempo seduto o sdraiato, senza mai però riuscire a stare comodo.