I viaggi acidi di Albert Hofmann oltre il confine della coscienza
Dopo il frastuono psichedelico terminato verso la metà degli anni settanta, e poi degli anni definiti “di piombo” dalla stampa di regime e di quelli recenti della corsa al successo, il dottor Albert Hofmann, 86 anni, famoso in tutto il mondo per aver scoperto accidentalmente nel 1943 nei laboratori Sandoz gli effetti che l’Lsd aveva sulla coscienza, accetta di parlare a Milano della sua lunga ricerca.
Dottor Hofmann, cosa pensa della ripresa di interesse, negli ambienti accademici, degli studi sulla coscienza e gli stati modificati di coscienza.
Sono ricerche che mostrano in maniera sempre più chiara che non esiste un solo mondo, ma tanti mondi quante sono le coscienze. E che ognuno si costruisce da sé il proprio mondo, cioè la propria percezione del mondo, in questo gioco di equilibrio fra elemento fisico e coscienza.
Aldous Huxley parlava di “porte della percezione” e della possibilità di estendere a tutti, attraverso le chiavi chimiche, l’accesso a uno straordinario stato di coscienza. Perché lei non era d’accordo?
Il grande pericolo – ed è questo un punto sul quale ho poi avuto un contrasto anche con Leary – è quello di bruciare l’esperienza, arrivarci cioè artificialmente e troppo in anticipo rispetto al grado di maturazione individuale. Presupposto fondamentale è una certa stabilità, e per persone immature o che non hanno un certo equilibrio può essere molto pericoloso. È per questo che sostengo ancora che gli psichedelici dovrebbero essere tabù per i giovani, ma non proibiti.
Negli anni sessanta l’Lsd fu usata senza misura, in una logica di iperconsumo e di emozioni forti. Da qui, i disastri. Si sentì isolato?
C’era una celebrazione fin troppo ampia e affollata della ricerca delle differenze e quindi dell’uso e dell’utilizzo di queste sostanze. C’è poi stata una stretta micidiale negli anni settanta, ed è stato allora che più che isolato mi sono sentito preso in una morsa di negatività. Oggi la situazione sta di nuovo cambiando, e questo rinnovato interesse tra i giovani per gli psichedelici suscita in me non poche perplessità.
Il suo “bambino difficile”, come lei chiama l’Lsd, continua a darle preoccupazioni.
I figli che danno preoccupazioni non sono dei figliastri. Sono spesso dei ragazzi difficili perché hanno delle doti particolari. Sono particolarmente dotati ed è a causa della loro stessa intelligenza che talvolta sono tentati di andare ai limiti e imboccare strade pericolose. Solo con il tempo questi figli difficili che all’inizio danno preoccupazioni diventano, se ben guidati, dei ragazzi modello. Per quanto mi riguarda, grazie alle ricerche sull’Lsd sono entrato in contatto con le droghe magiche messicane e le cerimonie religiose che ne accompagnano l’uso rituale. In effetti, l’Lsd è una modificazione chimica della idrossietilamide dell’acido lisergico, il maggiore principio attivo dell’ololiuhqui, come vengono chiamati dalle tribù indiane delle regioni meridionali del Messico i semi di alcune specie di convolvulacee. La mescalina è il principio attivo psicotropo del cactus peyote, che cresce nelle regioni settentrionali del Messico e occupa un posto importante nelle cerimonie religiose di certe tribù indiane del Nordamerica. La psilocibina è il principio psicotropo del fungo magico teonanacatl, letteralmente “carne di Dio”, tuttora usato soprattutto nel sud del Messico. L’Lsd, dal punto di vista naturale, non è altro che una leggera variazione semisintetica delle antiche droghe sacrali. Se non avessi fatto questa scoperta non avrei potuto aprire gli occhi su un mondo e su tutto un contesto culturale che poi si è rivelato molto ricco. Mi riferisco non solo al mio incontro con la cultura messicana, ma anche alla cultura in generale, all’incontro con Huxley, Jünger e tutti gli altri.
Cosa cercava quel pomeriggio del 19 aprile 1943?
Ero impegnato da cinque anni in esperimenti sugli alcaloidi contenuti nella segale cornuta: l’ergotammina, isolata da Arthur Stoll nel 1918, e che fino a oggi è il farmaco più efficace nella cura delle emicranie; l’ergonovina, capace di provocare le contrazioni dell’utero, e altri derivati sintetici, fra cui un preparato idrogenato delle tre componenti pure dell’ergotossina, commercializzato con il nome di Hydergina e usato per migliorare le funzioni mentali degli anziani. Stavo cercando di realizzare uno stimolatore della circolazione sanguigna. Combinando l’acido lisergico con differenti ammine ottenni il venticinquesimo derivato semisintetico della segale cornuta, la dietilammide dell’acido lisergico la cui sigla è Lsd 25. Mentre stavo completando la purificazione e cristallizzazione ricordo che ho avuto come un giramento di testa, una leggera mutazione dei colori. Due giorni dopo, spinto dal presentimento che quella sostanza forse possedeva proprietà fino ad allora sconosciute, decisi di provarla ingerendo 0,25 milligrammi di Lsd 25, una dose estremamente piccola per ogni altro tipo di droga, ma come sappiamo oggi massiccia, considerando l’efficacia della Lsd 25. Il risultato non era assolutamente prevedibile. Dopo di allora c’è stata una prima ondata di ricerche che volevano essere scientifiche e comportavano ricerche in laboratorio con persone-cavie. È qualcosa che mi ha dato molto fastidio perché è un modo sbagliato della scienza di accostarsi allo studio della coscienza. Nel modo in cui si intromettono elementi troppo razionali nel valutare l’esperienza estatica c’è qualcosa di mancato e di non corretto. Vedere il mondo con “il cuore” o con “gli occhi della meraviglia”, per usare un’espressione del fisico Frank Oppenheimer, non è vederlo con gli occhi razionali della scienza. Molto dipende dal contesto in cui si compiono certe esperienze. È utile che ci sia un contesto “caldo”, amichevole.
L’ultimo suo viaggio?
Ho usato le sostanze non più di venti volte. L’ultima volta è stato tre anni fa in Messico con alcuni amici. Eravamo in un ranch, all’aperto, c’era la luna piena. E una forte e fraterna partecipazione fra di noi e con la natura. Estasi, non confusione. Essere nel mondo, come parte del mondo, una parte molto piccola, infinitesimale però in trasparenza, in profondità, unica e indeperibile come ogni essere umano.
Tratto dall’intervista di Gianni De Martino pubblicata per la prima volta nel 1997 e ora riproposta nella antologia “Voglio vedere dio in faccia”, per gentile concessione di Agenzia X