I tanti volti della violenza dietro le sbarre
Rieccomi, dopo un breve periodo di “latitanza” qui, oltre il cancello, da dove cercheremo di capire cosa significa la violenza vissuta da questa prospettiva.
Tanto per cominciare voglio sfatare il luogo comune, spesso sottaciuto ma implicitamente presente nelle conversazioni sull’argomento, che vuole tutti coloro che varcano le porte del carcere come destinati a rivedere le proprie preferenze sessuali. Non è così ed è oltretutto offensivo e mortificante che un concetto del genere sia ancora così radicato nell’immaginario collettivo. È tremendamente banale sottolineare che l’impossibilità di incontrare nell’intimità persone del sesso opposto, non sviluppa, in chi già non le ha di suo, tendenze omosessuali.
Ciò premesso, per chi non ha fatto esperienza del carcere, può non essere immediato realizzare che nella maggior parte dei casi, in un contesto simile, la sessualità viene annullata dalle condizioni ambientali e quando non è così è quasi un miracolo. In altri paesi europei i detenuti hanno diritto a incontrare saltuariamente la propria moglie o la propria fidanzata, ma non qui. Qui la masturbazione stessa è “bloccata” perché i reclusi non godono mai della necessaria privacy salvo poter contare sulla “complicità” del proprio, o dei propri concellini, che può regalare, per quei pochi minuti che il regolamento consente, un po’ di solitudine al gabinetto. Ma le guardie sono onnipresenti. Così può capitare che sul più bello si apra lo spioncino del bagno sul lato corridoio e che qualche agente intimi: “Che cazzo stai facendo?”, accompagnato di solito da una sonora risata. Non bisogna essere dei mostri di empatia per capire che già qui siamo di fronte a una non trascurabile forma di violenza.
Personalmente non ho mai visto né sentito di episodi di violenza sessuale da parte di un detenuto su un altro recluso, mentre, com’è normale che sia in luoghi sovraffollati ed “estremi”, gli scontri tra detenuti, sia a livello personale che di gruppo, sono reali e frequenti. Normalmente i “conti” si regolano nelle docce, che in sezioni normali, sono luogo di incontro tra detenuti che albergano in celle diverse. Ci si incontra anche nell’ora d’aria in cortile, ma lì la sorveglianza è più stretta.
I motivi per cui ci si può picchiare sono diversi: dall’incompatibilità di carattere, contestualizzata nella convivenza forzata che la detenzione impone, a vecchie ruggini ereditate dal passato, fino ad arrivare a incontrare in carcere il proprio “infame”, cioè colui che ti ha mandato in carcere con le proprie dichiarazioni. Le “armi” che vengono utilizzate sono ricavate da oggetti di uso quotidiano, opportunamente modificati: la lametta usa e getta, pazientemente asportata dal rasoio bic e montata sul manico di uno spazzolino da denti, le scatolette di tonno che gli agenti non ritirano (raramente si riesce a tenerle) e la semplice lametta da barba tenuta tra le dita della mano col palmo aperto, con cui lasciare sfregi sulla faccia del nemico.