I Talent Show e la generazione del “tutto e subito”
Raramente guardo la televisione e in particolare i Talent Show, devo ammettere che non sono un’appassionata del genere, anzi più di 10 minuti davanti a questo genere di trasmissioni potrebbero far impazzire il mio sistema nervoso. Ciò che trovo molto interessante però è il dibattito che si è creato attorno a questi nuovi programmi di intrattenimento, perché, non bisogna dimenticarlo, è questo quello che sono realmente. Intrattengono puntando sulla spettacolarizzazione di un momento o sul lato emotivo della gente. Con il passare del tempo attraverso la continua ibridazione di questo genere, con le modalità del reality o del game show, è diventato ancora più difficile dargli una categorizzazione allargandone involontariamente i suoi reali potenziali. Oggigiorno, infatti, assistiamo a continue polemiche su come questi programmi «distruggono le nuove generazioni» come ha anche affermato Dave Grohl, leader dei Foo Fighters.
Ad ogni modo, talenti o meno, coloro che decidono di partecipare a questo tipo di programmi diventano schiavi, o meglio figli, del sistema televisivo fatto di audience, televoto, pubblico, giuria e devono agire entro un determinato raggio d’azione. Le diatribe e gli scandali non sono mai mancati, ovviamente tutti per motivi futili ed è proprio questo che piace alla gente! Il popolare litigio tra Simona Ventura e Arisa (uno tra i tanti) è la dimostrazione lampante di quanto questi programmi possano davvero creare dei momenti televisivi infelici e di bassissimo livello.
Dove è finito lo spirito dei musicisti di una volta? Il volersi esprimere secondo un particolare stile e non secondo le regole commerciali che inculcano la moda e la tv? Sono famosi gli esempi storici di artisti che hanno scritto la storia della musica e che inizialmente si sono visti chiudere diverse porte in faccia. Un esempio clamoroso è quello di Neil Young che in un’intervista ha rivelato che qualcuno gli disse: «Il gruppo è davvero grande, ma onestamente non dovresti essere tu il cantante». Se l’artista avesse ascoltato quella persona non avremmo avuto Neil Young. La determinazione e il non voler scendere a compromessi li ha comunque premiati e questo ci ha permesso di ascoltare musica di alto livello, anche se qualcuno aveva pensato diversamente. Certo è che non tutti, nonostante la determinazione e l’integrità artistica, hanno la possibilità di dedicarsi alla propria passione 24h su 24, ma dover provare il tutto per tutto ad un programma televisivo, per ottenere la svolta della vita tanto desiderata, è solo il frutto di menti plasmate dalla televisione.
Personalmente concepisco la musica come una forma d’arte che permette a chi la utilizza di esprimersi a modo proprio, secondo le tecniche e le pratiche più congeniali, ma chi è disposto a farlo secondo le regole del mainstream, accantonando quindi tutto ciò che di creativo può avere, è un po’ come avere uno smartphone ma usarlo semplicemente come se fosse un cellulare. Inoltre sono programmi con una durata limitata nel tempo che non permettono agli artisti di evolversi consapevolmente poiché vengono lanciati davanti ad uno schermo e ad un microfono senza nessun tipo di approccio precedente. La classica gavetta viene ormai superata, ma ci sarà un motivo se ogni mestiere ha sempre previsto un periodo di prova in cui acquisire esperienza ed affinare le capacità?
Purtroppo al giorno d’oggi si è perso molto il valore reale delle cose e delle proprie capacità, infatti si preferisce avere nell’immediato qualche riscontro anche se scarso ed effimero. Siamo nella società del “tutto e subito”, dove 10 minuti di gloria sono più importanti dei valori personali. Si tende a preferire un successo di carta fittizio e irrisorio ma immediato piuttosto che qualcosa di maturato nel tempo in cui si crede e che si fa con fede e passione! Probabilmente ci aveva visto bene Andy Warhol quando affermò che «Nel futuro ognuno sarà famoso al mondo per quindici minuti».