Uniti per la loro gente, i System Of A Down sono tornati, dopo quindici anni di silenzio discografico, con due nuovi inediti: “Protect The Land” e “Genocidal Humanoidz”. Due brani, che hanno riportato in studio la band losangelina di origini armene, dopo anni di lontananza artistica, spezzata solo da alcune comparse live. La missione? Accendere i riflettori sulla guerra in Artsakh o Nagorno-Karabakh, dopo quasi due mesi (il cessate il fuoco tra Erevan, appoggiato dalla Russia, e Baku è stato firmato il 9 novembre) di continui attacchi da parte dell’esercito azero, spalleggiato dalla Turchia, responsabile, tra il resto, del genocidio di 1,5 milioni di armeni nel 1915 e di oltre cento anni di negazionismo. Un massacro, quello del 1915, di cui furono vittime gli antenati dei SOAD, Daron Malakian (chitarre, voce), Serj Tankian (voce), Shavo Odadjian (basso) e John Dolmayan (batteria), i quali, oltre a devolvere le royalties dello streaming e della vendita dei due singoli all’Armenia Fund, hanno avviato una raccolta fondi, a sostegno della popolazione colpita dal più cruento attacco che il Paese abbia subito nell’ultimo quarto di secolo (insieme ai video dei due brani su YouTube si trova il collegamento per donare a “Aid For Artsakh Campaign”).
«Probabilmente siamo l’unica rock band che ha dei governi come nemici, l’unica rock band che è in guerra. Ho scritto queste canzoni per sostenere il morale delle nostre truppe e degli armeni in tutto il mondo», ha raccontato Daron Malakian, autore del testo e della musica dei due singoli, che ha anche prodotto. L’urgenza di portare l’attenzione sul conflitto ha toccato, più o meno contemporaneamente, i membri del gruppo, profondamente scossi dagli attacchi a sorpresa e dai bombardamenti perpetrati a danno dei civili armeni in Nagorno-Karabakh, ma è stato un messaggio del batterista John Dolmayan a riportare concretamente la band in studio: «Non importa cosa pensiamo l’uno dell’altro, non importa quali problemi ci siano stati nel passato – ha scritto -, dobbiamo metterli da parte, perché quello che sta accadendo è più grande dei System Of A Down e più grande di tutti noi. Dobbiamo fare qualcosa per sostenere il nostro popolo».
Una chiamata alle “armi”, le loro canzoni, a cui i SOAD hanno risposto sulla base di una consapevolezza granitica, almeno quanto i riff di questi due pezzi: «Le aggressioni e le ingiustizie continue contro il popolo armeno in Artsakh e in Armenia da parte dell’Azerbaigian e della Turchia sono una violazione dei diritti umani e un crimine di guerra – ha affermato Serj Tankian -. Tutti noi System ci rendiamo conto che questa è una battaglia esistenziale per la nostra gente, quindi è molto personale per noi. Ciò di cui abbiamo bisogno in questo momento è che il mondo metta da parte la politica e sostenga l’Armenia sanzionando la Turchia e l’Azerbaigian e riconoscendo l’Artsakh».
È un grande ritorno quello dei SOAD, divisi sulle presidenziali americane (con Dolmayan pro Trump e Tankian democratico convinto), ma saldamente unita sulla questione Armena. Un ritorno, che ha anche riacceso gli entusiasmi dei sostenitori della band attorno all’uscita di un nuovo album, spenti, però, da Malakian, che in una recente intervista a BBC Radio 6 Music ha smentito qualsiasi voce relativa alla pubblicazione di un nuovo disco da parte della band.